Tre storie, tre persone
Jon Tennant, Aaron Swartz, Diego Gómez. Tre storie per iniziare a raccontarvi della lotta per l'accesso aperto alla ricerca, fatta di persone e vicende, ma soprattutto di giustizia e resistenza.
TW: Questa puntata parla, tra le altre cose, di suicidio. Se non te la senti, non la leggere.
L’ultima puntata di questo contenitore di idee, sentimenti, passioni e fuochi ha visto come protagonista il mio bisogno di conoscere. Leggendo l’ultimo numero di
, dal titolo “Ricerca”, mi sono ricordata del perché sia cosi importante per me sapere le cose. È una questione di processo, più che di risultato, di strumenti e progettazione, più che di forma, insomma una questione di viaggio, più che di meta. Come dice Martino nella sua newsletter:Una delle cose che ho capito in questi mesi è che non mi interessa la conoscenza, ma sono attratta dal capire perché voglio conoscere.
È sempre stata una cosa mia, questa qui della conoscenza. Che è il motivo che mi ha spinto a fare una serie di scelte nella vita, tra cui quella di intraprendere un dottorato di ricerca: finita l’università ho capito ben presto che non ne avevo ancora avuto abbastanza, di essere studentessa, e volevo imparare come si fa a unire la disciplina dello studio a quella dell’allenamento mentale, volevo vivere la creatività, scrivere su carta ipotesi da testare, da confutare, da confermare. Tutto chiamava curiosità e vivacità intellettuale dentro di me. Tutto mi spingeva verso la ricerca.
Durante gli anni del mio dottorato mi sono accorta poi che le cose in università, da ricercatrice, non funzionavano proprio benissimo. Non scenderò nei dettagli, almeno non in questa puntata, ma vi fate un’idea abbastanza completa leggendo l’ultimo numero di
, che avevo già citato nella scorsa puntata, e vi lascio anche un pezzo che ho scritto per ROARS1 - perché la scienza non dà quello che promette? - in cui parlo di Science Fictions, un libro scritto dallo psicologo che mette in luce un po’ di cose che non sono proprio ottimali nel sistema accademico di produzione del sapere. Nel periodo in cui mi sono resa conto che c’era bisogno di trasformare il modo in cui facevamo ricerca, tra il 2013 e il 2014, ho conosciuto Jon Tennant, che, ormai lo sapete se siete qui da un po’, è stataJon non c’è più, è morto il 9 aprile del 2020, a soli 32 anni, forse ormai sapete anche questo. Io adesso potrei assecondare questo cuore di panna (cit.) e scrivere di quanto mi manca, di come io pensi a lui nei giorni più tristi, di come lo immagino vivere un’altra vita, luminoso come una stella, vivace come non mai, con quella risata piena che gli cambiava lo sguardo. Potrei raccontarvi dei nostri pochi, pochissimi incontri dal vivo, delle birre che abbiamo condiviso, della nostra intensa amicizia fatta di telefonate, messaggi, come stai? ti posso mandare le slide per l’evento della prossima settimana? quando torni a casa? sei sicura di star bene? io sì, ma tu sei sicuro? ti mando abbracci, ti mando scherzi, risate sonore e momenti di calma. Potrei scrivere di come Jon sia stato vittima di cancellazione, il suo nome e la sua identità a rischio, nel buio della notte, dimenticati e perduti per sempre. Potrei scrivere degli ultimi messaggi che ci siamo scambiati, e di come io abbia continuato a scrivergli per giorni, nell’incredulità della sua morte improvvisa. Potrei scrivere di tutto questo parlandone per ore, ma mentre ci penso si appannano gli occhi, e allora forse oggi facciamo che ve lo accenno soltanto, facciamo che l’amore e la mancanza oggi parlano a voce più bassa, se possibile.

Facciamo che ce lo ricordiamo come piace a noi. Con le parole. Il 10 aprile del 2020, il giorno dopo la sua morte, gli ho scritto una letterina, questa letterina qui. È una lettera d’amore che prova a riassumere l’enorme eredità che Jon ha lasciato dietro di sé, quella che ha lasciato nel mio intelletto curioso e nel mio spirito monello:
Almost everything I know today about open scholarship, I know because of Jon.
Jon was persistent. Coherent. Fighter of a good fight.
Jon believed in equal rights, equal opportunities, equal access to knowledge.
Above all, Jon believed in humanity.
Quasi tutto ciò che so oggi sul modo di fare ricerca aperta lo so grazie a Jon.
Jon era persistente. Coerente. Combattente per una battaglia giusta, buona.
Jon credeva nella parità di diritti, di opportunità e di accesso alla conoscenza.
Soprattutto, Jon credeva nell'umanità.
Una sera di tanti anni fa, una sera in cui niente sembrava avere senso, e io mi sentivo piccola e sola, una di quelle sere in cui Jon mi mandava qualche cazzata sul telefonino per farmi sorridere, quella sera lì, ricordo che pioveva, e Jon a un certo punto mi disse: metti su YouTube il film di Aaron Swartz, io lo guardo da qui, da Berlino, e tu da lì, da Gent. Ci teniamo la mano, ci ricordiamo a vicenda che cos’è che stiamo cercando di costruire, io, te, e tante altre persone come noi. Gente che sogna. Jon aveva spesso di queste idee strambe. Mi aiutavano a stare al mondo quando non avevo idea di come si facesse.

Non era certo la prima volta che guardavamo il documentario, la storia del “ragazzo dell’internet” morto suicida a soli 26 anni. Quella volta, però, io e Jon piangemmo assieme, nello stesso momento, al telefono. Era come se avessimo dimenticato, per un po’, quello che era successo ad Aaron (mi prendo il permesso da sola di chiamarlo per nome e spero nessuno me ne voglia). Ci siamo ricordati, improvvisamente, del suo manifesto, di quel “l’informazione è sapere”, di lui che viene arrestato nel 2011 per aver scaricato più di 4 milioni di articoli scientifici dal database accademico JSTOR. Ci eravamo quasi dimenticati di Aaron che cede al peso della legge, della sua sentenza, del debito finanziario e forse morale, e decide di togliersi la vita, l’11 gennaio del 2013. Gennaio 2013, io iniziavo il terzo anno di dottorato, Jon era nel bel mezzo del suo, tra dinosauri e animali antichi quanto il mondo. Un anno prima di conoscerci, di incontrarci. Eravamo pieni di vita e di ribellione, quando Aaron moriva. Quella sera ci ha uniti, Jon e me, ci ha incollati l’uno all’altra, ci ha spinti a fondare il primo MOOC di open science, ci ha fatto viaggiare, anche quando non ne avevamo voglia, ci ha fatto parlare al telefono per ore, mandare email notturne a persone ignote che lavoravano per la commissione europea. Cercavamo fondi, modi di lasciare l’università, modi di cambiare le cose prima che le cose cambiassero noi. Quella sera ci ha uniti per sempre, me e Jon, e poi ci ha fatti incontrare di nuovo, a Washington DC, nel 2016. Io non lo sapevo ancora che avrei avuto poco tempo con lui, in questa vita, o mi sarei attaccata al suo fianco per non lasciarlo mai più. E non sapevamo ancora che avremmo fatto un altro incontro, con un’altra persona, che ci avrebbe tenuto incollati ancora per molto. A Washington DC, nel 2016, incontrammo Diego, Diego Gómez.
Diego è la terza persona di questa storia che vi racconto oggi, storia ribelle e a tratti un po’ infame. Quando io e Diego ci incontriamo per la prima volta, lui è impegnato in una battaglia penale che rischia di fargli fare dai 4 agli 8 anni in carcere. Tutto perché Diego, che nel 2014 fa ricerca all’Universidad del Quindío, in Colombia, non riesce quasi mai a leggere gli articoli scientifici di cui ha bisogno per il suo progetto di ricerca2, finché un giorno trova una tesi di studio che parla proprio delle cose che lui sta studiando. Pensando che condividere fosse la cosa più giusta da fare, Diego carica il testo su Scribd, ma l’autrice della tesi se ne accorge e cita Diego in tribunale per violazione di copyright e per danni economici. Dalla storia di Diego nasce una battaglia politica, una che urla:
“Sharing is not a crime” - “Compartir no es delito” - “Condividere non è un reato”.
Se l’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche fosse la regola e non l’eccezione, condividere non sarebbe un reato - così recita il poster che nel 2017 annuncia che finalmente, dopo tre anni di lotta, Diego è stato dichiarato innocente.
È stato un grande dono conoscere Diego, e averlo fatto insieme a Jon è una delle cose più belle che mi sono capitate nella vita, abitando gli stessi spazi nello stesso tempo. Un privilegio.
Un privilegio che spero di vivere ancora, quando il tempo del cancro sarà passato e le mie giornate torneranno a parlare di un’altra forma di resistenza. Lo spero con tutto il cuore. E sperando riesco quasi a sentire la voce di Jon che mi sussurra:
“healing will come, I promise you3”
Me lo ripeti dal 9 aprile 2020.
Non posso fare altro che crederti, amico mio.
Cose che ho letto, visto, sentito
Sono andata al cinema a vedere Flow. Mi è piaciuto tantissimo, ma vorrei parlarne con persone che lo hanno visto, perché forse non l’ho capito del tutto ehehe :)
OK, ho ripreso a leggere “Cambiare l’acqua ai fiori”, prima non riuscivo perché piangevo troppo. Spoiler: sto piangendo ancora, ma respiro più facilmente. Il libro è durissimo, ma pieno di spinte vitali e di amore.
- ha caricato tutte le edizioni di Feminist Feelings su Spotify!
La storia sulla liberazione del sapere è solo all’inizio, ci torneremo!
Frattanto, Fate ə monellə! Ehi, vvb <3
“Return on Academic Research and School”
E non riesce perché non sono accessibili, e perché la sua università non ha abbastanza fondi per pagare gli abbonamenti alle riviste scientifiche che interessano a Diego.
Arriverà la guarigione, te lo prometto.
Sulla condivisione mi hai fatto venire in mente quello che diceva in un libro (ma pure nella sua newsletter) Mafe de Baggis: di aprire, di liberare le parole perché siano usate dalle altre persone, anche di abbattere i confini del copyright. Cioè di creare connessioni, specie nel mondo della ricerca.
Ah, io "Flow" l'ho visto con un mio nipote 7enne: per me esteticamente bello e girato molto bene, anche se non mi ha fatto vibrare, come ad esempio mi era capitato con un altro film fatto solo di suoni e musiche che vidi qualche anno fa: "La tartaruga rossa". Mio nipote (che ha iniziato ad avvoltolarsi sulla poltrona del cinema a metà film) alla fine mi ha detto" "Mi ha annoiato, comunque bello" 😄. In ogni caso, sarebbe bello parlarne.
Mi è piaciuta tantissimo questa newsletter di oggi! Grazie e complimenti per questa tua capacità di scrittura emotiva che apprezzo davvero un sacco! Brava brava brava 🫶