Non bevo più
Del perché ho deciso di non bere più alcol. Una riflessione personale e dolorosa che parte dal mio cancro, passando per un film che ho visto al cinema e che ho amato moltissimo.
Attenzione: questa newsletter contiene spoiler sul film “The Outrun” (uscito comunque l’anno scorso, e al solito solo roba che si può dedurre dal trailer). Questa newsletter parla di alcolismo, io ho deciso tempo fa di non usare TW in questi spazi, ma abbiate cura di voi e non leggetela se è un argomento doloroso o triggerante.
Quando ho iniziato le cure per il cancro, in ospedale mi hanno dato qualche dritta su cosa mangiare e cosa bere nei mesi della chemioterapia. Una dieta equilibrata, magari un po’ di carne qua e là (all’epoca ero vegetariana, su questo torno dopo), giusto per non perdere troppo peso e acquisire un po’ di energie con porzioni piccole - non lo sapevo ancora, ma mangiare sarebbe diventato faticosissimo. Bere tanta acqua, ovviamente, possibilmente un po’ di coca cola, bibite frizzanti, qualcosa per contrastare la nausea; il tè allo zenzero è molto indicato. Evitare assolutamente il pompelmo: alcuni dei suoi componenti inibiscono un enzima che è molto importante per lo smaltimento dei farmaci chemioterapici, quindi se bevi succo di pompelmo durante la chemioterapia c’è il rischio di un sovradosaggio. A me il pompelmo non è mai piaciuto, quindi chi se ne frega.
Il caffè lo posso bere? Io non vivo senza caffè. Certo che può, mi rispose l’infermiera, ma molto probabilmente non ne avrà voglia. Mah - pensai - questa non mi conosce ancora. Tre giorni dopo la prima chemioterapia smisi di bere caffè. Persino l’odore mi dava la nausea, non riuscivo nemmeno a sostare in cucina nell’angolo vicino alla macchinetta. Faticavo a fare colazione senza il mio caffellatte, ma proprio non ce la facevo. Mesi dopo, durante l’ultimo giro di chemioterapia rossa, il senso di nausea legato al caffè è sparito: mi sono alzata un giorno e mi sono detta “oggi bevo il caffè”. È stato bellissimo.
Non ho chiesto a nessuno in ospedale se potessi bere alcol durante le cure. Non era una priorità, per me, anche se ero curiosa, e ci pensavo spesso. Insomma mi pareva brutto chiedere. Immaginavo il medico rispondere: “Signora, stiamo iniziando un percorso per farla guarire da un tumore, e lei pensa all’alcol?”. No, non ci pensavo. O forse un po’ sì, ma me ne vergognavo profondamente.
Ho smesso di bere alcol subito dopo la mia diagnosi, l’ultima settimana del mese di ottobre del 2023. Nausea o meno, mi pareva proprio assurdo bere sapendo di avere un cancro. Non ho più bevuto da allora. Non una goccia di alcol. Nel frattempo sono passati diciassette mesi. Sono sobria da diciassette mesi. E forse non dovrei contare i mesi, perché fondamentalmente io non ho mai avuto un problema con l’alcol, o almeno penso. Mi hanno sempre fatto una grande paura le dipendenze, e ho sempre provato a consumare tutto con lucidità e presenza, o ameno penso. Però intanto i mesi li conto, e rifletto su quello che sta significando per me, questa nuova sobrietà.
Un paio di settimane fa sono andata a vedere The Outrun, un film che di dipendenze parla molto bene, e lo fa non solo con le parole ma anche e soprattutto con il corpo, con gli sguardi, i movimenti, con il vento e l’acqua, con i paesaggi, con i silenzi e le urla.
Saoirse Ronan è assolutamente incredibile in questo film. La vedi muoversi con grazia e goffaggine allo stesso tempo, la senti sussurrare come un fantasma, e poi urlare più forte del vento delle isole Orcadi, in Scozia, dove tutto accade. D’improvviso buca lo schermo, e te la ritrovi sulla poltrona in sala, al cinema, proprio vicino a te. Ti soffoca, prima, e poi però ti lascia lo spazio che ti serve. Quello per deglutire, per mandare giù un paio di bocconi amari, quello per provare a dare un nome alla sensazione di vuoto e orrore che si forma in gola e che poi d’improvviso scende, a tutta velocità, scavando un buco enorme al centro della pancia.
Il film mi è piaciuto tantissimo, ma non sono una critica cinematografica e lascio ad altre persone il compito arduo di parlarne per bene. Io vi faccio un piccolo riassunto, che serve per provare a fare il punto di questa newsletter, non so se ci riesco mica, però.
La storia, che è l'adattamento cinematografico dell'autobiografia “Nelle isole estreme” di Amy Liptrot, è quella di Rona, una giovane donna che soffre di alcolismo. Dopo un breve ma importante periodo di disintossicazione, Rona decide di lasciare Londra e di tornare nella sua città natale, sulle isole Orcadi. Qui continua il suo percorso di disintossicazione e guarigione1, aiutata dalla natura semplice e potente delle isole: fa nascere agnelli, nuota con le foche, studia il DNA delle meduse, fa il bagno nel mare gelido della Scozia, passa giornate intere in silenzio, l’unico suono quello della musica in cuffia. Sulle isole vivono anche il padre e la madre, ormai separati da molti anni. A un certo punto del film appare un elemento cruciale per provare a sbrogliare qualche nodo nella testa di Rona: il padre, Andrew, è bipolare, e la sua condizione è esacerbata dall’uso di alcol2. Rona lo vede star male, assiste ai suoi episodi depressivi e a quelli euforici, passa giornate intere vicino a lui, a letto, e da piccola, ancora infante, romanticizza i suoi comportamenti dannosi in tratti fantastici, quasi magici. Adesso, adulta, Rona sa che la malattia del padre ha cambiato per sempre la sua vita, e che deve provare a tutti i costi a sopravvivere, prima, e vivere davvero, dopo, nonostante tutto.
The past follows us. Energy never expires.
Il passato ci (in)segue. L'energia non si esaurisce mai.
La salvezza per Rona arriva dalla e nella comunità, e io non ne sono stata sorpresa per niente. La salvezza arriva prima dalla natura, dalle piante e dal vento, dalle onde del mare, dagli animali.
E poi arriva dagli abitanti delle isole, specialmente dal gruppo di alcolisti anonimi che Rona trova. Il programma di recupero dei dodici passi, le riunioni, la vulnerabilità, la preghiera della serenità recitata ad alta voce all’inizio di ogni seduta:
Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza.
Durante una delle riunioni, forse verso la meta’ del film, in un momento di grande onestà, cruda e selvaggia, Rona confessa:
I miss it. I miss how good it made me feel.
I can't be happy sober.
Mi manca bere. Mi manca come mi faceva stare.
Non posso essere felice da sobria.
In quel momento, sprofondata nella mia poltrona al cinema, io ho pensato:
non berrò mai più
Sono passati diciassette mesi, e forse non dovrei contarli, se è vero che io non ho mai avuto un problema con l’alcol. Ma è proprio vero? Non lo so più. Quello che sto per scrivere adesso è difficile da dire, molto difficile, e mi fa male, ma la mia scrittura non consola, ha detto una persona che legge questa newsletter, e forse ha ragione.
Adesso lo so, e posso dirlo: so di aver usato l’alcol nella vita come anestetizzante, come diversivo, come alternativa. Alternativa al vuoto, al silenzio, alla mancanza d’amore. Alternativa ai sogni che non riuscivo più a fare, ai sentimenti che non ero più in grado di provare. O forse a quelli che provavo troppo ad alta voce. Assordanti. So di aver usato l’alcol per riuscire a parlare coi ragazzi, per sembrare più spigliata, meno inibita, per apparire più divertente, per raggiungere uno stato di euforia altrimenti irraggiungibile. Per essere felice, qualunque cosa significasse allora, e qualunque cosa significhi adesso.
Essere giovani ed essere sobri/e non è facile.
Per alcune persone è ancora più difficile. È dura ammetterlo, ma adesso so di essere una di queste persone. So di esserlo stata, a ogni modo, durante molti anni della mia vita. A un certo punto del film Rona spiega:
For those of us susceptible to addiction, alcohol becomes the default way of alleviating anxiety and dealing with stressful situations. Through repeated use of the drug, our neural pathways are scored so deeply, they'll never be repaired.
Per quelli come me suscettibili alla dipendenza, l'alcol diventa il modo predefinito per alleviare l'ansia e affrontare le situazioni di stress. Con l'uso ripetuto della droga, i nostri percorsi neurali vengono segnati così profondamente che non potranno mai essere riparati.
Non sto dicendo che sono stata un’alcolista, no. Ma sto dicendo che ho usato l’alcol, e il suo effetto inebriante, per adattarmi, per smussare i miei angoli, per allineare il mio corpo a un mondo che girava su frequenze diverse dalle mie, per sentirmi meno sola, per sentirmi più umana. L’ho usato per trovare il coraggio di spogliarmi, letteralmente o no, per mettermi a nudo, per offrirmi, per osare. Per avere il coraggio di dire di sì. L’ho usato per mettere a tacere, annegata nel fondo di un bicchiere, la nostalgia assurda per un futuro che tardava ad arrivare. L’ho usato per dare asilo a me stessa, o a un’altra me, quella che parlava a voce più bassa, senza che le urla dei bisogni primordiali risuonassero dentro la mia gabbia toracica.
L’ho usato perché per tanti, lunghi anni, non ho fatto altro che pensare “non ho più voglia di essere triste”.
Sono passati diciassette mesi. E so che potrei farmi un drink ogni tanto, o bere un bicchiere di vino a cena, ma io ho sempre fatto fatica a fare le cose a metà3, e penso ci sia una piccola parte di me che ha paura di essere suscettibile, prona a quella dipendenza, all’anestesia del cuore, perché spesso è troppo doloroso sentire tutto. Tutto assieme, comunque.
Ora non ho più vent’anni, e un po’ ci riesco ad abbassare il volume, o a farlo convergere nelle parole, nella scrittura, nell’arte. Ma ho paura. E allora ho deciso che non berrò mai più. Uso il mio cancro per fare una scelta radicale.

Verso la fine del film Rona va a fare la spesa nell’unico, minuscolo negozio dell’isola. Mentre è alla cassa, pronta a pagare, sullo schermo compare una fila di bottiglie, è un po’ fuori focus, ma si vedono bene, sono tutti alcolici. L’uomo alla cassa le prepara il conto e chiede a Rona se le serve altro. Lei, composta, presente, il corpo ancora vibrante delle acque gelide dell’isola, risponde che no, non ha bisogno d’altro.
Ecco, nemmeno io.
Cose che ho letto, visto, sentito
Sono andata al cinema a vedere Vermiglio. Un film lungo, lentissimo, e bello. La regia è di Maura Delpero e la fotografia lascia senza fiato.
Una cosa incredibile che dice Rona durante il film: “In grandiose moments, high on fresh air and freedom on the hill, I study my personal geology. My body is a continent. I grind my teeth in my sleep like tectonic plates. And when I blink, the Sun flickers. My breath pushes the clouds across the sky and the waves roll into the shore in time with my beating heart. The islands' headlands rise above the sea like my limbs in the bathtub. My freckles are famous landmarks and my tears, rivers. Lightning strikes every time I sneeze. And when I orgasm, there's an earthquake.4”
Tom Odell ha tirato fuori “Don’t le me go”. La mia crush non conosce tregua.
Fate ə monellə!
L’alcolismo è una malattia
Non ho abbastanza strumenti per dire se la rappresentazione del bipolarismo nel film è dignitosa e veritiera, io credo di sì, ma non devo essere io a dirlo, ecco
Questo è il motivo per cui quando sono diventata vegetariana l’ho fatto da un giorno all'altro, senza transizioni e senza mezze misure - odio i cambiamenti, odio i passaggi
Nei momenti più grandiosi, in cima all'aria fresca e alla libertà della collina, studio la mia geologia personale. Il mio corpo è un continente. Nel sonno digrigno i denti come placche tettoniche. E quando sbatto le palpebre, il sole sfarfalla. Il mio respiro spinge le nuvole nel cielo e le onde si infrangono sulla riva a tempo con il mio cuore che batte. I promontori delle isole si ergono sul mare come le mie membra nella vasca da bagno. Le mie lentiggini sono punti di riferimento famosi e le mie lacrime sono fiumi. Fulmina ogni volta che starnutisco. E quando ho un orgasmo, c'è un terremoto.
Grazie per queste tue parole che mi arrivano come un abbraccio sincero. Grazie perché mi sono riconosciuta in molto di ciò che racconti. Ho deciso di non bere più 8 mesi fa. Così da un giorno all'altro. Perché non mi andava più e volevo provare che effetto avesse la mia vita senza questo gesto sociale che spesso mi portava a perdere lucidità. Abusare dell'alcol è molto facile ed è (quasi) socialmente accettato. Grazie perché inaspettatamente questa mattina mi sono sentita vista e validata. Grazie ❤️🩹 PS
Non diventa mai facile. Diventa solo meno difficile. ❤️🩹 grazie