L'opposto della solitudine
L’estate non è fatta per scrivere. Però è fatta per leggere. Sono tornata con la mente e il cuore alla storia di Marina Keegan, e ai suoi scritti belli, coraggiosi, eterni.
When the check is paid and you stay at the table; we can’t always dig ourselves the deepest well… on some days we must drink water from the village tap.
L’estate è fatta per riposare, per bere acqua, per cercare posti all’ombra, per ancorarsi alle nuvole che passano lente sul fiume. L’estate è fatta per seguire le zone oscure dentro casa, con le persiane abbassate, poca luce al mattino, fuori, sempre fuori, lontano, lontanissimo. L’estate è fatta per sentire il carillon del camioncino dei gelati, giù, al parco, e il ticchettio del pallone da calcio che sbatte contro il palo ogni mezzo minuto. L’estate è fatta per le feste di matrimonio, per scambiarsi promesse in pantaloncini e canottiera, con i sandali o a piedi nudi sull’erba. L’estate è fatta per i pisolini su un’amaca, al fresco, in pineta, per i corpi che non soffrono, per quelli sani, vivi, pieni. L’estate è fatta per guardarsi allo specchio, prendere il coraggio a due mani, e dirsi senza pietà: tieni, prendi tutto quello che vuoi e di cui hai bisogno, lo meriti fino all’ultima goccia. L’estate è fatta per disegnare, grosse fragole rosse su cartoncini ruvidi, pesciolini e bolle d’acqua, sassolini argentati. L’estate è fatta per giocare. Per giocare alla campana, o alla tringa – così la chiamiamo nel siracusano - basta un gesso, un sasso, dieci caselle, e via. Avanti e indietro, indietro e avanti, e a sto giro chissà se finalmente vinco io.
Insomma, l’estate è fatta per tanta roba, ma non mi pare sia fatta per scrivere. Non mi pare sia fatta per raccontarvi del mio fiato corto, del mio bisogno di riposo, del mio annaspare continuo. L’anno scorso la questione non mi aveva sfiorata minimamente, scrivevo come se dalla scrittura dipendesse la mia vita – e chissà forse è stato davvero così. Forse sono sopravvissuta anche grazie a questo spazio qui.
L’estate non è fatta per scrivere, ma con un genocidio in corso, una guerra che avanza, il mondo in fiamme, mi pare assurdo non usare questo strumento per provare a respirare un attimo. Ancorarmi a qualcosa, qualsiasi cosa.
È una settimana che penso ad alazia – una delle tre parole della rubrica dell’ultima puntata - la paura di non essere in grado di cambiare. Una settimana che mi dico che sono ancora giovane, che ho una vita davanti, che posso cambiare le cose, che posso cambiare me stessa, che posso amare ed essere amata, che posso ancora godere di tanti anni pieni di possibilità. È una settimana che ogni volta che ci penso sento un nodo in gola e scoppio a piangere. Una settimana che provo a conciliare questa missione qui di tenermi in vita con quella di sapere che forse sto facendo qualcosa perché non vada tutto irrevocabilmente in malora. Non ce la faccio. Non ci riesco.
È da qualche tempo che penso (di nuovo) a Marina Keegan, al suo libro “The Opposite of Loneliness: Essays and Stories” e al suo discorso scritto per il Yale Daily News in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi della classe 2012. Ci penso spesso – ci ho sempre pensato spesso, ma molto di più dal tumore in poi - perché qualche giorno dopo aver scritto questo discorso coraggioso e preciso, Marina è morta, d’improvviso, in un incidente d’auto. Aveva appena 22 anni.
Non mi ricordo bene quando ho letto questo testo per la prima volta, deve essere successo una decina di anni fa, probabilmente quando mi stavo sforzando con tutta me stessa di capire cosa volevo fare della mia vita, di come avrei fatto a salvare il mondo, se solo fosse stato possibile. L’ho letto quando per me la morte era ancora roba lontana. L’ho letto e ricordo di aver pensato – che mente brillante, che cuore coraggioso. Vorrei tanto essere così.
We don’t have a word for the opposite of loneliness, but if we did, I could say that’s what I want in life. […] What we have to remember is that we can still do anything. We can change our minds. We can start over. […] The notion that it’s too late to do anything is comical. It’s hilarious. We’re graduating college. We’re so young. We can’t, we MUST not lose this sense of possibility because in the end, it’s all we have. […] We’re in this together, 2012. Let’s make something happen to this world.
Non abbiamo una parola per indicare l’opposto della solitudine, ma se l'avessimo, potrei dire che è quello che voglio nella vita. [...] Quello che dobbiamo ricordare è che possiamo ancora fare qualsiasi cosa. Possiamo cambiare idea. Possiamo ricominciare. […] L'idea che sia troppo tardi per fare qualcosa è comica. È assurda. Ci stiamo laureando. Siamo così giovani. Non possiamo, non dobbiamo perdere questo senso di possibilità perché alla fine è tutto ciò che abbiamo. [...] Ci stiamo dentro insieme, 2012. Facciamo accadere qualcosa a questo mondo.
Spesso pensiamo di dover salvare il mondo.
A volte è dura abbastanza salvare noi stessə.

Come poi mi capita spesso per tante cose e storie in cui mi imbatto, mi sono messa a cercare altri saggi, scritti, parole, testimonianze. Volevo sapere assolutamente tutto di questa persona.
Avevo trovato una lettera scritta a Marina da Yena Lee, sua compagna di stanza e amica. Ci ho messo un po’ a recuperarla nel grande web ma ce l’ho fatta. È una lettera dolorosa e di una bellezza disarmante, che mi ha sempre lasciato in bocca il desiderio di sapere cosa diranno le persone di me, quando io non ci sarò più. C’era una cosa – una decina di anni fa – che mi aveva colpito tantissimo, ma che non capivo. Una cosa che ho attaccato sulla mia grande bacheca di parole e sentimenti, e che a tratti ho dimenticato. Una cosa grande, importante, vitale. Eppure ho continuato a viverne senza per tanti, troppi anni. Quasi come respirare senza ossigeno. Come ho fatto, non lo so.
Sophomore year I asked you what the point of life was and you told me it was love. […] Senior year—just a few weeks ago—we were about to graduate. I asked you what you'd do with life and you said you wanted to create; you wanted to make art. You looked serious. “I want to write.”
You wanted to write and you wanted to love. So you did them together, with and for human weakness (or perhaps, human uniqueness).
That's to say: you wanted to write and you wanted to love. Even despite the strange and still incomprehensible fact that now you do know what's “beyond this life,” by age 22, you managed to do what you wanted. Maybe not exactly as you'd envisioned. Like everything else, your corpus is not perfect: the feeling that there ought to be more of it chokes up all of us reading your work now. But it's what you leave us in that characteristic imperfection of human love, which makes us love it all the more.
Al secondo anno ti chiesi quale fosse il senso della vita e tu mi dicesti che era l'amore. […] L'ultimo anno, poche settimane fa, stavamo per diplomarci. Ti ho chiesto cosa avresti fatto nella vita e mi hai risposto che volevi creare, volevi fare arte. Sembravi seria. "Voglio scrivere".
Volevi scrivere e volevi amare. Così hai fatto tutte e due le cose, insieme, con e per la debolezza umana (o forse, l'unicità umana).
Vale a dire: volevi scrivere e volevi amare. Nonostante il fatto strano e ancora incomprensibile che ora sai cosa c'è "oltre questa vita", a 22 anni sei riuscita a fare quello che volevi. Forse non proprio come l’avevi immaginato. Come tutto il resto, il tuo corpus non è perfetto: la sensazione che dovrebbe essercene di più soffoca tutti noi che leggiamo ora il tuo lavoro. Ma è quello che ci lasci, in quella caratteristica imperfezione dell'amore umano, che ce lo fa amare ancora di più.
Volevo scrivere e volevo amare.
Forse l’estate non è fatta per scrivere, ma è fatta per leggere le persone che hanno scritto prima di noi. Primavera, inverno, autunno, chissà. Vi consiglio tutti gli scritti di Marina Keegan, sicuramente il suo saggio dal titolo “Song for the special” (sì, una di quelle cose che leggi e dici – come vorrei averlo scritto io):
I read somewhere that radio waves just keep traveling outwards, flying into the universe with eternal vibrations. Sometime before I die I think I’ll find a microphone and climb to the top of a radio tower. I’ll take a deep breath and close my eyes because it will start to rain right when I reach the top. Hello, I’ll say to outer space, this is my card.
Ho letto da qualche parte che le onde radio continuano a viaggiare verso l'esterno, volando nell'universo con vibrazioni eterne. Un giorno, prima di morire, penso che troverò un microfono e mi arrampicherò in cima a una torre radio. Farò un respiro profondo e chiuderò gli occhi perché inizierà a piovere proprio quando sarò in cima. Ciao, dirò allo spazio, questo è il mio biglietto da visita.
prostitute of feelings1
amava la solitudine e il suo opposto
Il mio urlo nello spazio, l’epitaffio sulla mia tomba.
Cose che ho letto, visto, sentito
Mi ero proprio dimenticata di dirvelo, ma ho fatto un binge watch di Sirens. Un cast incredibile, ma un po’ sprecato.
Questo numero di Welcome to LouLouLand: “Lately, I’ve been focused on my dreams. That is perhaps a blessing of cancer, I spend a lot of time with my eyes shut.2”
Io e Tobe ci leggiamo nel pensiero: what good is a writer that does not write? “we can’t always dig ourselves the deepest well… on some days we must drink water from the village tap.3”
Tenete d’occhio la casella di posta, potrei scrivervi a breve per il progetto “Oggi è oggi” - ehi! vvb <3
Questa me l’ha trovata lei.
Ultimamente mi sono concentrata sui miei sogni. Forse è una benedizione del cancro: passo molto tempo con gli occhi chiusi.
Non possiamo sempre scavarci il pozzo più profondo... In alcuni giorni dobbiamo bere l'acqua dal rubinetto del villaggio.
🔮 i fili invisibili e incredibili che ci legano: nella mia penultima Telline (l’ultima prima della diagnosi) c’era anche questo libro di Marina Keegan. Leggere quello che ne hai scritto oggi, rileggere quello che ne ho scritto io in ottobre, ricompone qualcosa di cui avevo bisogno. 🫀
Torno da una visita dalla spy in cui ho pianto come un vitello, apro il pc e trovo questa. Grazie, ma anche perchéééééééé? 🥲