Un'agenda femminista per la cura del cancro
Riflessioni su occhiaie, parole, privilegi, e dolori.
"Non voglio che la mia rabbia, il mio dolore e la mia paura per il cancro si fossilizzino in un altro silenzio, né che mi venga tolta tutta la forza che può esserci nel cuore di questa esperienza, se riconosciuta ed esaminata apertamente"
Audre Lorde, The Cancer Journal
Occhiaie e malattia
Qualche giorno fa, guardandomi allo specchio, ho visto per la prima volta le mie occhiaie, realizzando d’improvviso che non le avevo mai avute prima. Non mi sono particolarmente dispiaciuta, ma mi hanno ricordato che sono malata (a volte, in alcuni momenti fugaci, quasi me ne dimentico). Mia madre non sopporta che io usi questa parola: malata. Io invece quasi la rivendico, con diritto e prepotenza; è una parola che anticipa il mio mal di pancia, la mia nausea, la tachicardia, la spossatezza, la voglia di piangere. È una parola che spiega la mia testa pelata e le pochissime, deboli ciglia che mi sono rimaste sugli occhi, un po’ sopra le occhiaie. Sono una malata oncologica, ho un cancro che di per sé - allo stato attuale delle cose - non darebbe segni di sofferenza e di malattia, se non fosse per la chemioterapia. È la mia cura a farmi star male, a rendere il tutto più complesso e intricato.
Se avete visto le mie storie Booby su Instagram lo sapete già, il 20 ottobre 2023 mi hanno diagnosticato un cancro al seno, un tumore triplo negativo (il più aggressivo, che culo). Ci ho messo un po' per processare la notizia e le sue implicazioni. All'inizio l'ho condivisa nel privato, in famiglia, con amicə, e soprattutto con le sorelle (non solo quelle di sangue). L'amicizia è stata un’ancora di salvezza, soprattutto nelle prime settimane dalla diagnosi: mi ha ricordato di respirare, quando mi sentivo annaspare, soffocare, impazzire. Ho capito poi col tempo che volevo parlarne, volevo raccontarlo, condividerlo, farne esperienza - se possibile - in modo collettivo. Forse idealmente a prendermi cura di una collettività, anche quando lo spazio intimo si faceva così spossante e doloroso.
Sono passati cinque mesi dalla diagnosi, ho fatto 12 sedute del primo ciclo di chemioterapia in 14 settimane, e 2 sedute del secondo ciclo in 5 settimane; agevolo piccola data visualization creata dalla mia amica Donata e poi modificata da me:
In questi mesi di cura e di guarigione non ho potuto fare a meno di soffermarmi su due fondamentali punti. Il primo, la grande sfiga di avere un tumore. Non l'ho scelto, non lo volevo, non lo voglio tuttora, eppure non posso evitarlo. Mi sono chiesta tante volte "perché? e perché a me?", ma un perché non esiste, penso di averlo finalmente accettato, e così ho smesso di chiedermelo.
La seconda fondamentale questione: la grande fortuna di essermi accorta in tempo che qualcosa nel mio seno non andava, una fortuna che in realtà è manifestazione del grande privilegio di avere accesso a strumenti indispensabili per la mia sopravvivenza. Innanzitutto l'accesso a informazioni vitali per la prevenzione (che non significa soltanto trovarle, queste informazioni, ma saperle leggere, capire, farle proprie, e tramutarle in vita vissuta), la possibilità di una diagnosi precoce (torno a quel “in tempo” di qualche riga più su), e, dulcis in fundo, l'accesso a cure oncologiche ottimali (che non è solo il piano di chemioterapia).
Una lente femminista per il cancro
Ma non è cosi per tuttə ə malatə oncologicə, e non è cosi per tutte le donne che hanno un cancro. Lo scorso anno, uno studio intitolato "Women, power, and cancer" ha mostrato che le disuguaglianze di genere peggiorano di gran lunga l'accesso delle donne alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura del cancro (qui un riassunto/infografica). L’articolo presenta dieci conclusioni principali, ma io ve ne riporto solo tre:
le donne corrono molto di più il rischio di subire una grave crisi finanziaria a causa del cancro1, con ripercussioni devastanti sulle loro famiglie (le cure mediche costano, e le donne purtroppo non hanno spesso la stessa indipendenza economica degli uomini);
l'assistenza alle persone malate di cancro è in gran parte lavoro non retribuito svolto da donne (penso alla mia caregiver numero uno, di questi tempi, la mia mamma);
esiste un grande divario di genere nei ruoli di leadership nel mondo della ricerca sul cancro2: coloro che detengono posizioni di potere (aka gli uomini) determinano le priorità, l'allocazione dei finanziamenti e lo sviluppo degli studi. Insomma, il patriarcato domina anche qui, per usare le parole dell’articolo:
Patriarchy dominates cancer care, research, and policy making. Those in positions of power decide which aspects of these areas are prioritised, funded, and studied.
No, siamo onestə, non siamo davvero sorpresə.
Lo studio propone un modo nuovo di guardare al cancro, dalla sua diagnosi, alla sua cura, alla ricerca, e agli studi: una lente femminista intersezionale che riconosca che il patriarcato e il colonialismo sono nella società e nelle istituzioni, che formano gerarchie di genere visibili e invisibili che si sovrappongono ad altre dinamiche di potere, con conseguenti discriminazioni, alienazioni ed emarginazioni. Una lente che prenda in considerazione la comunicazione tra il mondo medico e le pazienti, il fenomeno delle violenze oncologiche, le dimensioni di genere coinvolte, le dinamiche economiche, le differenze di privilegi e oppressione tra le pazienti.
Ho provato a sintetizzare questa proposta femminista nell’immagine qui sotto, una traduzione dall'inglese di quanto riportato nello studio:
È una cornice di pensiero (e di lotta) indispensabile più che mai, che improvvisamente dà un significato nuovo alle mie occhiaie, e riesce a portare il senso di questa malattia oltre il mio vissuto intimo e personale, fatto di pene e di maree.
Cose che ho letto, visto, sentito
Ho riguardato, per la decima volta, Olaf presents: una serie di piccolissimi cortometraggi (un paio di minuti, really) dove Olaf riproduce dei cartoni animati Disney. Mi fa troppo ridere.
Ho scoperto di avere un pregiudizio per le serie TV italiane (me misera). Ho finito di guardare Un professore (con la mamma) e mi è piaciuto davvero tanto. Storie genuine, coinvolgimento emotivo, e poi è ambientata a Roma, quindi che spettacolo di scene! Qualche buco nella trama qua e là, ma non era importante, almeno per me.
Sto leggendo il seguito di A Psalm for the Wild-Built, un libro dal titolo A Prayer for the Crown-Shy. Lo sto amando, e lo sto leggendo con calma perché non voglio finisca. Aspettatevi diverse puntate di Fate ə monellə dedicate a Monk & Robot ❤︎
Ci sentiamo giovedì prossimo? Spero di sì! Frattanto, fate ə monellə!
penso spesso alla mia assicurazione sanitaria, che mi permette di avere uno stipendio mentre sono in malattia - altro privilegio non banale.
sono ovviamente sottorappresentate anche le donne pazienti arruolate in protocolli di ricerca sperimentali.
Che forza Paola. Quella che mi arriva leggendo è nitida. Quella che hai tu dentro di te, la posso immaginare. Grazie!
Giulia cara, grazie 🔥