Sette vite
Un prompt di scrittura? Un desiderio? Sette desideri? Chi lo sa. Come ho immaginato le mie sette vite.
mi lascio andare
in un mare che non controllo
affioro qui
Nella mia vita numero uno muoio subito, o comunque molto velocemente. Nasco, cresco, e poi improvvisamente capisco che significa morire. Ne faccio esperienza e me la porto dietro in tutte le altre vite: non devo più preoccuparmene. Un incidente, una malattia, poco importa: muoio bene e muoio subito. Catalogo la cosa come un fatto, una cosa accaduta, ne faccio un sunto che mi trascino in ogni vita, in ogni luogo, in ogni tempo. Saprò se c’è la luce, ad aspettarmi, o se c’è il buio. Muoio prima di nonna, ma dopo altre persone, e saprò se le rivedrò, e saprò se ci saranno corpi o solo conigli lunari e stelle cadenti.
Nella mia vita numero due mi piacciono ancora la matematica, l’algebra, la geometria, ma un giorno d’estate, mentre mangio un cornetto al cioccolato e bevo un caffè, mi accorgo che le parole mi danno più gioia. No, mi accorgo che non posso farne a meno, gioia o meno. Così decido di studiare letteratura, assecondando l’umore di una me piccina che legge a letto o ritaglia fogli di giornale e lettere e parole per creare storie e vite senza precedenza. Studio a Roma, e quando finisco decido di restare nella metropoli, inizio a scrivere, prima per diletto e poi per guadagno. Scrivo un romanzo d’amore, uno che sa di primavera e fiori che sbocciano. Poi una raccolta di storie, e me la pubblicano pure, ci metto tanto a scegliere il titolo, forse troppo, e alla fine la chiamo “Come tasche vuote”, perché parlo di cuori rivoltati. Capovolti, rovesciati, ribaltati. Non c’è un uomo in questa vita, non c’è nemmeno una donna, ci sono solo io e i libri. Compro una casetta appena fuori Roma, e ci metto dentro una libreria gigante, e una poltrona marrone, un po’ brutta ma comodissima, soffice. Mi siedo la sera a guadare gli alberi e il bar sotto casa. Conto cornetti al cioccolato e tazzine di caffè. Sono felice.
Nella mia vita numero tre cedo alla pressione di fare una figlia, prima che sia troppo tardi. È femmina, si chiama Livia, ma poi deciderà lei il nome che le sta addosso meglio. Intanto è bambina, ha le guance rosa, le manine piccole, intatte. È una nuvola di zucchero filato. Le insegno a mangiare, a camminare, a spiccare il volo, a dire mamma. La prendo per mano mentre passeggiamo sul lungo fiume, bevo le sue risate, pulite, piene, due occhioni scuri, grandi, come la mamma, spalancati sul mondo. In questa vita lei cresce, e io invecchio. Rispondo alle sue domande, faccio del mio meglio. Ogni tanto le chiedo di darmi la mano, per sentire ancora la fiducia totale che solo lei ha saputo regalarmi. Lei mi sfiora le dita, me le stringe e mi saluta - ciao mamma, a presto - mi dice. Ti guardo andar via. Tu, immaginata, attesa, voluta. Un giorno improvvisamente scopro che sei altra, che sei tu, piena e grande. Unica. Cerco il tuo amore da ogni parte, ma quelle mani che abbracciano te non trovano posto in nessun altro luogo. Erano le tue braccia, era la tua vita sottile, le tue spalle e la tua schiena. Senza passato, senza aspettative. Era l'amore per mamma.
Nella mia vita numero quattro non muoio mai. O forse muoio ma non prima di aver compiuto almeno centoventi anni. Divento la genitrice di mamma e papà. La distanza si accorcia e il tempo si dilata. Mi prendo cura di loro, cedo al debito morale che mi porto dietro da quando sono nata. Mi rendo conto molto presto, nella vita, che anche loro erano bambinə, figliə di qualcun altro. Che hanno portato i pantaloncini d’estate e le scarpe a occhio di bue, e allora cerco le loro foto, se ce ne sono, e provo a immaginarlə mentre barcollano muovendo i primi passi, mentre soffrono i rigurgiti da latte, l’abbandono del ciuccio e del seno materno. Poi li vedo grandi, andare nel mondo, diventare persone adulte, prendendo in prestito tempo e amore. Per riversarli dolcemente su di me. Così in questa vita vivo a lungo, e sono io la loro mamma, e li coccolo, e c’è solo gentilezza e compassione. Non c’è spazio per il giudizio, per l’astio, per le incomprensioni. È tutto delicato e io scatto foto mentre sorridono, faccio di tutto per farli star bene. Li amo. Li proteggo.

Nella mia vita numero cinque sono una cantante. Trovo il mio registro vocale, e divento famosa. Mi chiamo Chiara Paola, ma tuttə mi chiamano Chiara. Mi sveglio in un posto diverso ogni mese, e compro una casa a Los Angeles, bevo Martini e mangio prelibatezze. Compro un numero vergognoso di occhiali da sole e sono snella, ho i capelli lunghi e mossi, le caviglie sottili, porto i tacchi alti e i giornali parlano di me, della mia ultima fiamma d’amore. Poi però è tutto troppo, e devo cancellare il tour, quello che mi avrebbe portata in giro per l’Europa, gli USA, l’Asia. Sto male, ho l’ansia quando afferro il microfono, e divento amica di Lewis Capaldi e Cat Power. Ci diciamo che è dura essere una star, è dura deludere le aspettative, pensare di fare schifo quando tuttə invece ti osannano e pagano centinaia di euro per venire a strillare ai tuoi concerti. Ci viene da ridere. Li invito a pranzo nella mia casa a Los Angeles, il mio cuoco personale si prende cura di noi.
Nella mia vita numero sei non parlo. Forse sono nata sorda, non so di preciso. Ma non uso le parole, le tengo tutte in testa ma non vengono mai fuori. Sono circondata di parole, le conosco tutte quante: desiderio, ansia, pasta, sugo, stelle, elefante. Sono tutte nella mia testa, prendono la forma di barzellette, poesie, canzoni d’amore. Provo ad afferrarle ma si sciolgono come fiocchi di neve prima ancora che riesca a toccarle. Assorbo le parole come si assorbono i raggi del sole. Nessuno lo sa, che le parole io le conosco e che hanno un senso compiuto nella mia testa, nessuno lo sa e questa cosa mi fa diventare matta e vorrei urlare ma non so come si fa.

Nella mia vita numero sette nasco e muoio su un’isola, la mia isola. Forse è questa la vita in cui il cancro incrocia il mio cammino, come faccio a sbarazzarmene del resto, non lo so. È la vita in cui capisco - finalmente - che sono prigioniera di un corpo e di una storia, di una vita e una soltanto, anche se mi fermo a fantasticare come sarebbe averne sette. È la vita in cui capisco - finalmente - che la nostalgia che provo di fronte alla bellezza altro non è che nostalgia di Dio. Così lo cerco, lo trovo, non lo lascio più. Lo sento muoversi in petto, vibrare nel cuore. Lo sento sommergermi gli occhi, inondare spazio e tempo mentre mi sussurra:
che bello essere
quello che si è
anche se si è
poco pochissimo
niente 1
Cose che ho letto, visto, sentito
È uscito “Multitude, le film” di Stromae. Io l’ho visto già due volte perché è pazzesco. Vi lascio questa canzone qui che si chiama Santé e che brinda a tutte le persone che nei giorni di festa non brindano mai perché lavorano <3
Columbro mi ha chiamata data guest star inserendomi nell’ultima puntata di
:) È piena di letture e spunti interessantissimi su dati, intelligenza artificiale, algoritmi - da leggere!Ho visto il documentario “Lewis Capaldi: How I'm Feeling Now” e mi è piaciuto tanto: una conversazione onesta e piena di compassione per un artista che ha difficoltà con la sua salute mentale, l’ansia, il panico, la vita che scorre. “I’ll probably fuck up, but we’ll have a good time while we do it”.
Spero sia un tempo di riposo, ma mi raccomando - fate ə monellə! vvb <3
Da “Taci, anzi parla”, di Carla Lonzi.
Io farei ancora un pensierino alla vita due. L’unica che si conclude con un “Sono felice”. E poi solo un pazzo non ti pubblicherebbe un romanzo (dimmi che ce l’hai lí, in qualche cassetto per le ultime revisioni). E spera che Paolo Genovese non legga questa newsletter altrimenti prende spunto per una sceneggiatura con Margherita Buy protagonista.
Quante vite, Paola Chiara. Quanta vita. 💜