Resistere
Il mio mare d'ottobre, tempeste che si placano e bussole che non funzionano più. Di psiconcologia, maniglie, e del grande, immenso bisogno che abbiamo di dare un nome alle cose che sentiamo.
Vita mia incantevole
Scaccia via le mie paure
E non mi importa di perdere
Quello che mi serve adesso è vivere
Il mio mare d’ottobre
L’ultima volta che sono stata in Sicilia è stato a ottobre del 2023. Avevo già sentito qualcosa nel mio seno, ma aspettavo il momento giusto nel mio ciclo mestruale per fare un’ecografia di controllo. Tuttə mi dicevano “vedrai che non è niente”. Non mi aspettavo niente di diverso, ovviamente: mio marito, le mie sorelle, i miei genitori, dicevano tuttə “ma non sarà nulla, figurati”. Io un po’ ci credevo e un po’ no. Sentivo che qualcosa non andava, forse per la mia natura un po’ catastrofica, forse per questa cosa della statistica, e del fatto che alcuni dati scientifici e medici io li conoscevo già. Non so di preciso cosa fosse, ma mi sentivo irrequieta. La prima settimana di ottobre, in spiaggia, mi ritrovavo a fissare il mare, a girare un video, e a pensare “goditi questa pace, perché forse sta per arrivare una tempesta”. Caricai due video su IG (qui il primo e qui il secondo): il mio mare e le sue ondine, il fondale trasparente, la calma di ottobre; scelsi “Resistere” de LRDL come colonna sonora, e nelle didascalie scrissi:
Voglio provare a resistere
E non mi importa di perdere

Sono passati tanti, troppi mesi dal mio ultimo viaggio in Sicilia, e questo sono finita a fare: resistere. È arrivata la tempesta, eccome se è arrivata, e ora, a poco a poco, sembra tornare la quiete, il mare d’ottobre impresso nelle mie pupille, forse l’unico ricordo nitido degli ultimi tempi. Tornano le letture calme, gli abbracci, i sorrisi. Ho paura, ma so che la tempesta si è placata, lo sento nel corpo, chiaramente, e forse servirà un po’ di più perché lo senta anche altrove, nel petto, nella mente, nello spirito. La paura sempre dietro l’angolo, però.
Tempeste e bussole
Come si torna a navigare, quando i venti si calmano e la tempesta si placa, ma la tua bussola non sa ancora in che direzione puntare?
Io non ne ho la più pallida idea, provo a inventarle io queste direzioni, ma mi sento per lo più persa, smarrita, senza istruzioni da seguire, e questo ve l’ho già detto più volte. Ci sono persone però che questa roba qui se la chiedono spesso, persone che continuano a parlare con noi gente del cancro per provare a venirne a capo, se possibile. Sto parlando di persone che si dedicano alla psiconcologia1, ovvero al branco della psicologia che offre supporto psicologico a malatə oncologicə, alle loro famiglie, e alle loro reti affettive e di sostegno.
Una della prime persone che ho conosciuto in ospedale quando è iniziata la mia storia del cancro è il mio psiconcologo, forse la persona che più mi ha vista piangere e impazzire lo scorso inverno: avevo così tante domande, così poche risposte, ma lui c’è sempre stato (anche quando nemmeno lui aveva le risposte). Questa figura professionale è critica, nelle esperienze di cancro, perché i disturbi psichici che possono arrivare assieme a una diagnosi di questo tipo sono davvero tanti: ansia e depressione (di cui, secondo uno studio, soffre il 30% dei malatə oncologicə), disturbo da stress post traumatico, paura, solitudine. A questi fattori si aggiungono spesso le dinamiche che hanno a che fare con cure palliative, la paura di morire, la paura di dover vivere e programmare, ove possibile, la propria morte. Insomma, roba tosta, mi verrebbe da dire.
Ve ne parlo perché di recente ho seguito un seminario alla mia casetta del cancro2, un seminario dal titolo3: “Come andare avanti dopo il cancro - quando la tempesta si placa ma la bussola non dà ancora una direzione” (e ora capite pure da dove arrivano le bussole e le tempeste ;-)).
Ho pensato che fosse cosa buona e giusta restituire così tanta gratuità e generosità parlandovi qui di cosa ho imparato durante questo incontro.

Quindi: cosa ho imparato?
La risposta breve a questa domanda è: niente, non ho imparato niente. E allo stesso tempo ho imparato tutto. Mi spiego: sapevo già tutto, sentivo già tutte le cose di cui ho sentito parlare, e quindi non ho imparato niente di nuovo. Ma allo stesso tempo, in quella sala piena di gente con storie di cancro, con lo psiconcologo che parla, e noi che ci guardiamo e ogni tanto in silenzio ci diciamo “sì, sì, è così, sì anch’io, sì ecco proprio così”, ho imparato la cosa più preziosa di tutte. Ho imparato, abbiamo imparato, che quello che sentiamo è valido, legittimo, esiste per tuttə noi, e ha un nome. O una serie di nomi. E sono curiosa di impararli tutti.
La prima cosa che ho imparato riguarda il trauma.
Qualche settimana fa stavo cambiando le lenzuola in camera da letto e improvvisamente mi sono messa a pensare a quanto tempo ho passato dentro quel letto lo scorso inverno. A dormire, a piangere, a guardare film e serie TV, a urlare disperata, pure. Con ancora le lenzuola pulite in mano, sono scoppiata a piangere. Poi ho pensato “forse sto elaborando un trauma?”- e subito dopo mi sono detta “che esagerata che sono!”. Beh, invece ho scoperto che una diagnosi di cancro può essere a tutti gli effetti un trauma. L’esperienza traumatica in questo senso si riconosce come: un’esperienza assolutamente inaspettata e imprevedibile; un’esperienza che ti mette faccia a faccia con la morte; un’esperienza che porta con sé impotenza e perdita di controllo. Ce le ho tutte, tante figurine a riempire un album di disperazione e perdita.
Un trauma è sempre associato a una o più perdite, spiega lo psiconcologo:
“Voi avete subito tante perdite, attraversando l’esperienza del cancro: la perdita della vostra salute e della vostra indipendenza, in primo luogo; la perdita del vostro corpo, del controllo sul vostro corpo, che per forza di cose è diventato piuttosto un oggetto medico, da guardare, ascoltare, monitorare; la perdita delle vostre identità, di alcuni dei vostri ruoli; soprattutto la perdita di pace e sicurezza, di prospettive future certe e rassicuranti. Diciamolo chiaramente, avevate una vita prima del cancro, e ora ne avete un’altra. E non è più la stessa.”
Mi viene da piangere - e mi accorgo che non sono da sola, sento gente tirare su col naso, guardarsi i piedi, muoversi nelle sedie.
Il cancro si porta dietro tante cose - continua lo psiconcologo - la battaglia per la sopravvivenza è una di queste, ma allo stesso tempo inizia anche una battaglia per il riconoscimento e la comprensione4. Riconoscimento e comprensione. Ripete queste parole più volte. E poi ci dice:
“Vi sentite spesso soli, incompresi, forse provate anche della vergogna, forse avete paura di non riuscire a soddisfare le aspettative di chi vi circonda, forse la malattia adesso che la tempesta è passata non è più così visibile e temete di essere degli impostori, forse non riuscite a fare ancora piani per il futuro, forse non sapete come affrontare la paura, le paure, forse tornano flashback nella vostra mente, immagini, suoni, odori, parole - serve del tempo per guarire da un trauma così, e forse quel tempo non è ancora passato”.
Per un breve momento mi dico che strano che è, che strano che è che ci dica queste cose così: di solito sono io a sedermi davanti a lui, a dirgli che ho paura, che non so che mi succede, che mi manca l’ospedale, che non so più chi sono io - e ora è lui a dire a me, a noi, queste cose, con una sicurezza disarmante, senza mai mancare di gentilezza, però. Questo si sente nel tono della sua voce e si percepisce da come si muove nella saletta - vorrebbe abbracciarci tutti, lo so.
E allora come si gestisce, questo trauma, per continuare a vivere? Procede a parlarci di quelle che lui chiama “maniglie”.
Maniglie, per aprire e chiudere cassetti.
Maniglie, a cui aggrapparci quando perdiamo l’equilibrio.
Allora eccole qui, le maniglie5.
Maniglia numero uno: giù la maschera.
Portate quello che c’è dentro di voi fuori di voi, anche se questo vuol dire mostrarvi vulnerabili. Siete stanchi? Non abbiate timore di dirlo a voce alta. Non vi ricordate le cose? Comunicatelo, le persone della vostra vita vi ripeteranno più volte le cose importanti.
(Questa qui mi serve un sacco, perché faccio una gran fatica a ricordarmi le cose, ultimamente).
Maniglia numero due: parlate, anche quando costa fatica.
Raccontate della vostra esperienza, perché più ne parlate e più le emozioni che fanno rumore nella vostra pancia troveranno un posto nel vostro cervello, e nel vostro cuore. Ed è esattamente così che processerete il trauma, col passare del tempo e con lo scorrere delle parole, del racconto.
(OK, lo sto facendo, brava che sono, mi do una medaglietta da sola).
Maniglia numero tre: non allontanate la paura.
Immaginate la paura come una palla da baseball immersa in una piscina. Più la spingete giù, più lei proverà a salire in superficie. E tenerla sott’acqua richiederà energie fisiche e mentali che non avete. Avvicinatevi alla paura, datele un nome, fatela accomodare vicino a voi. Osservate la palla, che colore ha, di che materiale è fatta. Forse da vicino non è più così grande, così potente, chissà.
(Questa mi viene difficile, ma giuro che ci provo).
Maniglia numero quattro: non abbiate timore di pensare alla rinascita.
Siete come una pianta, e siete un po’ morti per tornare a vita nuova. Che cosa ha significato per voi il cancro? Che cosa sta significando? Non voglio dire che deve essere per forza un’esperienza di crescita o di illuminazione profonda, ma non potete fare finta di niente. Questa vita adesso è nuova, quasi riparte da zero. Chi siete? Cosa volete diventare? Dove volete andare?
(In Sicilia, penso subito, a guardare il mio mare).
Alla fine del seminario ho gli occhi lucidi. Mi ripeto che no, non ho imparato niente eppure mi pare di avere imparato tutto. Penso sia un sentimento condiviso. Mi guardo intorno alla sala, mentre applaudiamo e ci guardiamo tuttə negli occhi, e ci vedo diversə, potenti, brillanti. Ci alziamo dalle sedie e improvvisamente siamo tuttə più grandi, tuttə un po' più altə, la nostra postura è cambiata, le teste in alto, le spalle più rilassate.
Siamo raggi di luce in mezzo alle tempeste, le acque si stanno calmando.
Chissà, forse a poco a poco scopriamo pure dove stiamo andando.
Cose che ho letto, visto, sentito
Sono andata al cinema a vedere “Fiore Mio”, il docufilm di Paolo Cognetti: che meraviglia incredibile. Vi invito anche ad ascoltare l’omonima canzone di Andrea Laszlo De Simone e “Ascoltare gli alberi” di Vasco Brondi, che ha scritto tutte le musiche per il film.
Ho letto tutto d’un fiato il libro autobiografico di Matteo B. Bianchi: “La vita di chi resta”. La testimonianza di un dolore assurdo che mostra chiaramente come la scrittura possa salvare. Un libro meraviglioso che restituisce vita dinanzi alla morte.
Ho pianto un po’ leggendo Colored windows di
- “I think the older I’ve grown, the more I’ve come to understand. Life isn’t black or white. It’s in-betweens. It’s the stories we never tell, the things we never become. And what’s crazy? It’s happening to everyone at the same time.6”
Grazie per essere arrivatə fino a qui, oggi era lunga, lo ammetto!
Fate ə monellə, vvb <3
Vi lascio la pagina di SIPO (Società Italiana di Psico-Oncologia) se volete saperne di più.
Non finirò mai di essere grata per questo luogo di cura e di attenzione a cui ho accesso; in una prossima puntata ne parlerò, assieme a storie di malattia, di guarigione, di “compatibilità”.
Ricordatevi sempre che io qui traduco dall’olandese un sacco di roba che ha a che fare con la mia vita quotidiana :)
Sapete già che non amo questi termini bellici, ma qui li riporto per dare fedeltà ai contenuti del seminario.
Io sono convinta che queste maniglie possano servire a processare anche altri traumi, non solo quello del cancro. Quindi spero che siano utili in qualche modo.
Mia traduzione: “Credo che più cresco e meglio riesco a comprendere. Che la vita non è bianca o nera. È una via di mezzo. Sono le storie che non raccontiamo mai, le cose che non diventiamo mai. E sai cosa è assolutamente folle? Succede a tutti noi nello stesso momento.”
È bello leggerti, perchè nei tuoi racconti ritrovo la verità dell'essere vulnerabile. L'ho imparata dopo il mio, di trauma, dopo aver fluttuato per diverso tempo in una realtà parallela, perchè da quella solita mi sentivo dissociata, i rumori, tutti, erano troppo forti per le mie orecchie, le lacrime scendevano sempre e ovunque senza controllo. Non volevo nutrirmi, non ricordavo le cose, nulla sembrava valesse la pena. Anch'io ho imparato tutto e niente, improvvisamente tante cose di cui avevo sentito già le ho sapute perchè vissute. E mi sono trovata ad aggrapparmi alle maniglie di cui parli, e ho imparato ad aver bisogno di parlare per metabolizzare... la mia vulnerabilità ora è la mia parte più tenera e sincera, è diventata la mia forza, mi aiuta a creare connessioni, e non trovo modo migliore di essere se stessi. Non so se ha senso quello che ho scritto, se è pertinente, so solo che quando ti leggo, fai eco dentro di me, e penso alla bellezza che filtra dalle righe.
Ciao
Mi affascina sempre tanto questo tuo modo magnifico di tornare a guardare la vita cercando di conoscerla nel profondo. Che non è un modo semplice per abbracciare la normalità, ma un modo nuovo per ritornare al mondo.