Quarantadue: perché scrivo
Un numero, la risposta alla domanda fondamentale sull'universo e tutto quanto. Ovvero di come la scrittura mi ha salvato la vita.
Scrivere è pregare.
Eccoci qui, natale alle porte, per me che scrivo, e alle spalle, per voi che leggete. La fine dell’anno vicina, un calendario nuovo in attesa che un po’ mi terrorizza. Il 2024 è stato l’anno più terrificante e pieno della mia vita; è solo un numero, mi dico, e ci credo pure eh, ma io in questi giorni di feste comandate vorrei solo sparire e riaffiorare il 2 gennaio, quando tutto è passato, quando tutto è di nuovo ordinario, quotidiano, banale.
Oggi mi sono svegliata con l’ansia, una roba senza indirizzo e senza meta, che girovaga nel mio petto e a poco a poco mi toglie il respiro, si ferma un po’ nella mia pancia. Sospiro, affannata, ansimante, ne abito le onde, e spero passi in un modo o nell’altro. Scrivo - dico a lei - in genere mi aiuta a stare meglio.
Il 14 marzo 2024 ho iniziato a scrivere questa newsletter, da allora sono passate 41 settimane, ho scritto (anzi pubblicato) 41 puntate, e questa che leggete oggi sembrerebbe essere la numero 42. E mi piace un sacco che sia la quarantaduesima, perché 42 è la risposta a tutto, no? Se avete letto “The Hitchhiker's Guide to the Galaxy”1 lo sapete già: la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è 42, così decide il supercomputer del libro di fantascienza dopo circa sette milioni e mezzo di anni di elaborazione e pensiero profondo.
Quarantadue? Come cavolo fa la risposta a tutto quanto c’è nel mondo a essere semplicemente “quarantadue”? Il supercomputer se ne lava le mani:
"Ho controllato molto approfonditamente, e questa è sicuramente la risposta. A essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda."
Solo quando conoscerete la domanda comprenderete la risposta.
Quarantadue. Ho pubblicato 42 puntate, ne ho scritte molte di più, nella mia testa e nel mio cuore. Prima o poi vedranno la luce, penso.
Nel 2024 la medicina mi ha sottratta alla morte, e non lo so se sono sopravvissuta, e non lo so se voglio chiamarmi survivor, e non ci ho ancora pensato, ma sicuro ci penserò. La realtà pero è indiscutibile: la medicina ha salvato il mio corpo, mettendo in moto meccanismi - anche violenti e terrificanti - per farlo guarire, o, almeno, per farlo respirare più a lungo, per estendere i tempi e farmi sperare.
La scrittura, però, la scrittura, amicə miə, la scrittura mi ha salvato la vita. È la scrittura che mi ha permesso di continuare a vivere, la scrittura che tengo per me, nei meandri del mio cuore impazzito, e quella che invece faccio leggere a voi, che mi fate la grazia di stare qui, di non andare via, di navigare parole e onde con me, insieme.
Scrivo per farvi vedere i miei occhi, e per riconoscere i miei sentimenti nei vostri. Scrivo perché la mia è una presa di posizione, una che dice: esisto, esiste il mio corpo e questo cuore impazzito, e allora scelgo le parole, e ne parlo. Legittimo ogni cosa. Scrivo per tenere una luce accesa quando tutto è buio e io non faccio che camminare alla cieca e diciamocelo non so nemmeno dove sto andando.
Scrivo perché voglio essere molto più della coltre d'ansia e di paura che avvolge il mio cuore come cellophane. Scrivo perché mi servono parole, ci servono parole. Per ricordare le cadute, per non dimenticare i perdoni, gli inizi. Scrivo perché so che ci sono parole che non riesco a pronunciare a voce alta, forse le uniche per cui varrebbe davvero la pena parlare. E allora le lascio qui, le consegno al futuro senza aspettative e senza rimpianti. Scrivo per non dimenticare. Per non fare dimenticare. Voglio incidere nella memoria, scavare solchi nella terra sporca di questa vita che a tratti si fa sabbia mobile, e guai a cascarci dentro perché più ti muovi e più vai a fondo.
Scrivo perché ho paura delle promesse che non riesco a mantenere. Quelle che sussurro al mio cuore, nel mio santuario sacro, quando mi guardo allo specchio, come fossero certezze. E allora le lascio qui, su questa pagina, le dico a voce alta. E la paura passa. Scrivo perché sento spesso che le parole scritte riescono a mettere tutto a posto; quello che vedo, quello che sento, quello che vivo, quello che provo. Sembra che non ci sia spazio, che sia tutto disordinato, caotico, non vedo armonia, non c’è legge che regga, eppure con la scrittura mi sembra tutto improvvisamente in equilibrio.
Non ho idea di quale sia la domanda, e in qualche modo riesco ad afferrare la risposta.
La mia scrittura cuce intorno alle mie ferite, ricalca i contorni della mia vita, fa spazio a ciò che sono, a ciò che sarò. Scrivo per prendermi del tempo, per non avere fretta. Scrivo perché mi sento spesso estranea al mondo, e qui posso esplorare un posto che non esiste, quella roba di cipressi e rose, foreste e notti di alberi scuri. Chi è stato a dirla? Non mi ricordo. Sono anch’io una selva, ma provo a non temere le mie tenebre, e scrivendo trovo pendii di rose sotto ai miei cipressi, le porto alla luce del sole. Sono profumate, bellissime.
Scrivo perché così riesco davvero ad abitare il mio cuore, ci guardo dentro, attraverso le parole e i racconti, e ci trovo la vita, con tutta la sua tenerezza, gli sguardi, le risate, gli incontri. Ci trovo spesso anche buchi, vuoti, angoscia, sgomento, ma parlano a voce più bassa, quando li guardo e li tramuto in parole.
Scrivo perché - come scrisse Pavese2 - ho un sangue, un respiro. Sono fatta di carne, di capelli, di sguardi, sono terra e piante, il mio riso, il mio passo, come acque che sussultano.
Scrivo perché ho un sangue, un respiro. Vivo su questa terra. Ne conosco i sapori, le stagioni, i risvegli, ho giocato nel sole, sotto un cielo diverso. Ho negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga, come polla dal fondo. Ma scrivendo sussulto sopra questo silenzio.
Come erba viva nell'aria rabbrividisco, sono io, sono terra.
Radice feroce.
Terra che aspetta, scrivendo.
Cose che ho letto, visto, sentito
Sono andata al cinema a vedere “Small things like these”, mi è piaciuto veramente tanto e Cillian Murphy è di un talento incredibile.
Sto (finalmente) leggendo Virdimura, l’ultimo romanzo di Simona Lo Iacono, gentilmente regalatomi dal mio amico Salvo <3
Una cosa che fa bene al cuore e che riguardo quando mi sento un po’ giù: “Olaf presents”, una serie di piccolissime puntate in cui Olaf di Frozen racconta i film di animazione più famosi di Disney. La mia parte preferita è quella di Rapunzel che dice “I need therapy” - you and me, babe, you and me.
Queste settimane possono essere molto dure, abbiate cura di voi, e fate ə monellə <3
In italiano “Guida galattica per gli autostoppisti”
https://www.libriantichionline.com/divagazioni/cesare_pavese_hai_sangue_respiro_1950
mi lascia senza fiato una corrispondenza: a 42 anni ho deciso di cambiare vita. e forse è questa la domanda che il computer si aspettava: a che punto del mio percorso si dovrebbe cambiare strada?
e poi mentre leggevo della tua percezione di una scrittura che ricuce le ferite ho visto chiaramente la distanza, lì dove io l'ho intrapresa per "aprirle", le feritoie. in questo anno di "ferite mal ricucite".
non posso che riflettere su quanto la vita dovrebbe avvicinarci, così simili sono le nostre disgrazie e così affini i nostri tentativi di sopravvivere e brillare.
grazie per questo piccolo viaggio
Così affini i nostri tentativi di sopravvivere e brillare ♥️
La scrittura costruisce ponti su queste isole maldestre che siamo noi. Grazie a te.