Io telefono casa
Tredici anni fa sono emigrata all'estero. Dove c’è amore, c’è casa - dice mia mamma. Di migrazioni, perdite, alieni.
Così non ci lasceremo mai
Neanche se muoio lo sai.
Qualche giorno fa ero al telefono con mamma; dal nulla, improvvisamente, se ne è uscita con questa frase “dove c’è amore, c’è casa”. Ho visto i suoi occhi appannarsi, cedere alla commozione, e così abbiamo chiuso la telefonata, con le nostre emozioni riflesse negli occhi e nelle nostri voci che stavano per spezzarsi.
Mia mamma non ha mai accettato che io abbia deciso di emigrare così lontana da “casa”. Lo ha accolto, però, e questa è una cosa che fa una grande differenza. Si può accogliere quello che non capiamo, che non condividiamo, che non riusciamo a posizionare dentro i nostri credi e il nostro sentire. Si può accogliere quello che non riusciamo ad accettare, e accettare è sempre un po’ sopravvalutato, secondo me.
“Dove c’è amore c’è casa” - dice mia mamma. E sono certa lo dica per rassicurarsi, per dirsi che va bene, che sono così lontana e non può coccolarmi, soprattutto in questi mesi ancora complicati. Lo dice per far pace, in qualche modo, con il fatto che tredici anni fa ho deciso di lasciare “casa”, ho deciso di lasciare l’isola, il nostro lungomare, il giardino di limoni di cui papà si prende cura, la frutta fresca d’estate, l’albero di natale dove ogni persona della famiglia deve assolutamente appendere una pallina, non importa quanto coinvoltə sia nel processo dell’addobbo. Così da tredici anni, quando torno “a casa” per natale c’è sempre una palla che mi aspetta, che devo prendere tra le mani, ammirandola, scegliendo con cura la sua posizione nell’albero. Ci siamo tuttə, o quasi, tra il verde e il rosso, le luci, le sfere.
Tredici anni fa sono emigrata all’estero, e sebbene questo aggiunga uno strato di difficoltà fatto di voli più lunghi, un clima decisamente poco italiano, il caffè diverso, le parole di una lingua che non è la mia lingua, insomma nonostante tutto questo, credo che il mio sentire rispetto a “casa” sarebbe stato lo stesso se avessi deciso di restare in Italia. Che ne so, a Milano.
Ci avrete fatto caso, ogni volta che scrivo “casa” qui uso le virgolette, e lo faccio senza prestarci troppa attenzione, perché la Sicilia, l’isola, il giardino di limoni, tutti i tasti noti della mia abitazione, sono sicura siano casa, ma mi chiedo spesso come questa casa, lasciata tantissimi anni fa, possa ancora ergersi a rifugio, luogo di cura, benessere, protezione. E se non ne è in grado, chi o cosa ha preso il suo posto?
Cos’è casa?
Mamma direbbe: “dove c’è amore, c’è casa”. Mi pare ci sia del vero, ma mi pare anche che così sia troppo semplice. Casa è una delle prime cose che ho disegnato, da piccola, una delle prime cose che tuttə abbiamo disegnato, da piccolə. Un quadrato, un triangolo a fare da tetto spiovente, quando va bene persino un rettangolo a estensione dell’abitato, un’altra figura geometrica a finire il tetto. Io amavo disegnare le tegole, con quei pattern precisi che si ripetono, anche se poi a pensarci bene nel sud-est della Sicilia nemmeno ci sono i tetti spioventi. Sul lato principale della casa mettevo sempre due occhi grandi per fare entrare l’aria e la luce del sole, una porta per fare accomodare la nonna, il nonno, le persone amiche.
La porta serve, e serve che si apra, perché casa è il posto dove, quando devi andarci, qualcunə è pronto ad accoglierti.
Tornare a casa da emigrata è sempre un’esperienza un po’ mistica, almeno per me. Forse più angosciante di quello che dovrebbe essere, nell’ordine naturale delle cose. C’è sicuramente la gioia di visitare certi posti, rivedere certe persone, ma, e qui sarò drastica, credo che non si possa mai davvero tornare a casa. Mai due volte lo stesso fiume, diceva Eraclito. La tua casa sarà cambiata, e tu sarai cambiata. Nel continuo oscillare di partenze e arrivi, tu che “ritorni” non sei tu che “sei partita”. E nonostante tutto, e da qui arriva l’esperienza che sa quasi di mistico, nonostante tutto la casa ti porta indietro, ti riporta nella vita che avevi e che hai lasciato, ti riporta nei posti che il tuo corpo ha abitato e ai quali adesso non è più abituato. I ricordi attaccati come post-it a ogni angolo: i pranzi, i giochi, le ore di studio, il primo fidanzato che viene a prenderti al portone.
In quel posto hai dormito, hai mangiato, hai riso e hai pianto. Quel posto è tuo, e vuoi rivendicarlo. Ma, lasciatemelo dire, è una gran fregatura. Quando torni a casa, hai improvvisamente l’eta che avevi quando vivevi lì, provi quasi le stesse cose, quasi dimentichi la tua indipendenza, il rispetto che da persona adulta sai di aver guadagnato. Così capita che te ne vai triste, scontrosa, lagnosa, quasi, perché tornare “a casa” dovrebbe essere solo bello. Ma è sempre di più, qualcosa di più.
C’è uno strato di perdita, e di cordoglio, nelle storie che parlano di migrazione, di cui vorrei sentir parlare di più.
A tal proposito qualche giorno fa ho visto un film, Past Lives, che a leggere la trama potrebbe sembrare una banalissima storia di amore, ma che in realtà dà parole e scene a tanta roba che ho sempre pensato di provare quando penso alla Sicilia, quando penso a “casa”. Quando penso alla Paola che ha deciso di andare, di partire, di osservare, di provare. Quando penso a quello che mi sono lasciata indietro, a quello che forse sarei potuta essere, divenire, a quello che non sono mai stata, ma che riesco a immaginare. Potenziale senza atto. Le strade che non ho intrapreso, le vite che non ho vissuto, il lusso del rimpianto. Futile, quasi senza senso, lo so. È un film bellissimo che parla di amore, ma che parla soprattutto di scelte e di perdita, e lo fa senza nessuna nota di rassegnazione, anzi con grande dignità e compostezza. Un film che vi consiglio di guardare, se, come me, avete una storia di migrazione alle spalle (ma non solo, ovviamente).
Il film mi ha fatto pensare che forse mio marito è “casa”. Che probabilmente la mia famiglia (biologica e non) è “casa”. Loving you is like coming home - amarti è come tornare a casa - diceva una vecchia canzone. Ma allora cosa sono senza di lui, senza la mia famiglia? Senza radici? Alla deriva? Allora forse la casa sono io - solo io avvolgo con cura tutti gli spigoli del mio essere, solo io conosco le mie protuberanze, i punti in cui il mio io si avvalla, quelli in cui fiorisco, solo io sono in grado di assecondare i miei interessi, i miei umori, i miei stati d’animo. Allora casa sono io.
Sono a casa con me stessa. Nessun luogo potrà assumere questo ruolo per me. Il luogo sono io, sono io il posto. Io la casa.
Che spavalderia. Che stronzate.
Quando ero piccola disegnavo quadrati e triangoli, e casa era mamma, era papà, era nonna. Adesso è una città in Belgio, in riva al fiume. Le papere, e la cucina che sa di buono, e il mio angolo lettura, il letto che accoglie un corpo stanco, i libri sul comodino.
Un posto che non devo meritare. E vorrei fosse così per tutte le persone.
Dove c’è amore, c’è casa - dice mia mamma, al telefono.
E forse lo sapeva anche il piccolo alieno E.T., quando con meticolosa precisione indicava il cielo ed esclamava la celebre frase: E.T. telefono casa. Lui lo sa, dove vuole andare, conosce quel posto, quello fatto di oggetti e spazi che sembrano dire “saremo sempre qui per te”, oggetti e spazi che restano, che non se ne vanno. Quella è casa.
Ma anche quando è pronto a salire sulla navicella e partire, anche allora, pronto a tornare, accende quel dito magico, quello che aveva puntato al cielo con grande precisione, e rivolgendolo a Elliott gli ricorda che lui sarà proprio lì, dentro la sua testa, nei suoi pensieri, nel suo sentire. Allora forse è anche quella, la casa, l’ancoraggio in un continuo muoversi. Partire, tornare, sentire.
Mi sa che mamma aveva ragione.
Cose che ho letto, visto, sentito
È (finalmente!) uscito il primo numero di Janare, la newsletter di
. Parla di “Fratelli di latte” e sì, sospetto che ci troveremo dentro tante cose che “sanno di casa”.Ho visto un cortometraggio molto carino: If Anything Happens I Love You. Disegni molto belli, ma vi avviso che ho pianto per 12 minuti di fila sigh
Leggete l’ultimo numero della newsletter di
, fa male ma va letta. Occhio però: parla di violenza contro le donne.
Raccontatemi della vostra idea di casa, se vi va! E fate ə monellə! vvb <3
Quanta condivisione in queste parole, nel mio eterno rapporto di odi et amo con Napoli e i dieci anni che ho passato in Scozia ormai, e le abitudini cambiate, e le parole in italiano che a volte mancano per la troppa abitudine a parlare in un'altra lingua, e il pensiero fisso a un simile albero di limoni dai miei, la frutta veramente grossa e fresca e il mare e il sole che ci sono pure qui ma hanno un altro sapore.
Sai già l'effetto che mi ha fatto questa newsletter, mi sono dimenticata di dirti che Past Lives lo riguarderei altre dieci volte – è stato un film importantissimo per me lo scorso anno ❤️