La boccia per i pesci
Prima di ammalarmi pensavo seriamente di farmi un tatuaggio. Mesi e mesi di pensieri, progettazioni, il disegno giusto, l’artista giusto. No colori, bianco e nero, ma linee sottili. E dove lo faccio? Qui, sul braccio sinistro, sì. Ho sempre pensato che sarebbe stato un tatuaggio sulla scia di Mistaken Identity, un disegno di Ken Wong che amo molto, e che nell’ultimo decennio ha reso le pareti delle mie case - quelle in cui ho vissuto - più belle e più romantiche.
Mi dicono tuttə che è troppo triste per farne un tatuaggio; the fierce and fragile reveal their beauty - scrive piuttosto l’artista sulla pagina web che lista la collezione. Il mio tatuaggio l’avrei voluto su questa scia, dicevo. Una ragazza e la sua testa dentro una boccia per i pesci. Pesci rossi, per l’esattezza (che si doveva comunque capire dalle linee, perché i colori nel tatuaggio non ce li volevo).
In inglese, “living in a fishbowl” o “like being in a goldfish bowl” - vivere, cioè, dentro una boccia per i pesci - è un’espressione che può significare due cose: vivere la vita sotto scrutinio continuo (la boccia è trasparente, e tuttə possono vedere tutto di te), o viverla intrappolatə, senza guardare all’orizzonte, su e giù, destra e sinistra, tu che provi a nuotare ma rimani sempre e comunque bloccatə dentro la boccia. Molto prima di scoprire quest’artista e regalarmi quest’opera, molto tempo prima, avevo ricevuto in dono “L’eleganza del riccio”, il romanzo bestseller di Muriel Barbery. Non me lo ricordo bene (è passato davvero troppo tempo), ma ricordo con precisione il pensiero profondo numero uno della protagonista della storia, Paloma:
La gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia.
A Paloma, una preadolescente della Parigi bene, non piace la vita che fanno le persone adulte: mosche che sbattono sempre contro lo stesso vetro, si agitano, soffrono, deperiscono, si deprimono e si chiedono quale meccanismo li abbia portati dove non volevano andare. Lei non la vuole, una vita così:
ma una cosa è certa, nella boccia dei pesci io non ci vado
Ci ho messo un po’, io, a realizzare e ad accettare che è un destino comune, quello della boccia dei pesci. Una roba che non è che puoi proprio controllare, cioè non so tu fai sicuramente del tuo meglio, ma poi come cantano i Stereophonics:
I'm drinking, sinking, swimming
I'm drowning, working, smirking, learning
I'm burning, sleeping, thieving, cheating, beating
I'm eating, I'm deep in a goldfish bowl
It's sink or swim
Bevo, affondo, nuoto, affogo, lavoro, sorrido, imparo, brucio, lavoro, rubo, imbroglio, picchio, mangio, sono immersə in una boccia di pesci rossi
o si affonda o si nuota
Allora prima di ammalarmi pensavo di farmi questo tatuaggio: una ragazza e la sua testa dentro una boccia per i pesci rossi, solo che la boccia è capovolta, con il suo collo intorno al collo della ragazza, e la gravità non c’è, non funziona, non importa se l’acqua scende, se l’aria sale. È una realtà diversa, un po’ speculare. È una boccia, ci sono i pesci rossi, e c’è questa piccola donna - un po’ triste ma nemmeno troppo - che lo sa, lo sa che vive dentro una boccia, e va bene così. Va davvero bene così.
Poi ci ho messo troppo tempo, a decidermi, e l’occasione per il tatuaggio è andata persa: quando sei in cura per un tumore e ricevi chemioterapia, roba tipo tatuaggi e piercing, tutto quello che potrebbe causare un’infezione, è assolutamente vietato, fuori discussione.
Il tatuaggio che vorrei
Allora ci ho ripensato, a questa cosa del tatuaggio, e forse ho cambiato idea.
Vorrei ancora farne uno, magari uno che mi ricordi di questi tempi così densi e così difficili. Uno che lo guardo tra qualche anno, quando starò bene e non avrò più il cancro, e lo guardo nei momenti in cui mi rattristo, o mi arrabbio, o sento che ho una vita di merda e che ne vorrei un’altra - e lo guardo e mi dico - stai bene, sei bella, brava, coraggiosa, ma soprattutto - you’re allowed.
Se avessi dell’inchiostro sulla mia pelle, adesso, vorrei che fosse una scritta, piccolina, sottile, nera, sul braccio destro. Vorrei buttarci lo sguardo e leggere: I’m allowed.
È nato tutto guardando il film Red, White & Royal Blue, e poi leggendo il libro da cui è tratto - una storia con cui ho spammato amicə fino a farmi mandare a quel paese. Non lo avete (ancora) visto e/o letto? Peggio per voi.
A un certo punto della storia Henry e Alex litigano, perché va beh Alex ama Henry, Henry ama Alex, ma Henry non può stare con Alex per motivi che adesso non vi sto a spiegare qui, ma a una certa, disperato e in lacrime, gli dice:
I can love you and want you and still not want that life. I'm allowed.
Ora, lasciamo da parte la storia d’amore, le responsabilità di un principe (euhm) e del figlio della presidente degli Stati Uniti d’America. Dimentichiamoci persino che si tratta di una storia queer, di quanto bene sia scritto il romanzo, di quanto bravi e teneri siano gli attori. Non ce ne importa niente, almeno in questa sede. Soffermiamoci sull’ultima frase: I’m allowed.
È una frase che faccio fatica a tradurre in italiano, a dire il vero non sono nemmeno sicura se allowed in inglese sia soltanto il participio passato del verbo to allow, che significa dare il permesso, autorizzare, consentire, o se sia anche un aggettivo. Chiedo a chatGPT, che dice che no, non si tratta di un aggettivo. La traduzione più vicina in italiano sembra essere: “mi è permesso” o “ho il permesso”, indicando che qualcosa è stato permesso da qualcuno in passato ed è ancora attuale allo stato presente. Forse mi piaceva di più l’idea dell’aggettivo, ma trovo ci sia qualcosa di significativo anche in questa forma grammaticale qui, quella in cui da qualche parte, in un momento preciso, ci siamo datə il permesso di essere qualcosa, di fare qualcosa, e quel permesso ce lo siamo portatə addosso, come una benedizione che non lascia.
I’m allowed è il permesso che ho dato a me stessa di sentire quello che sento. Il permesso di stare male, il permesso di fallire, quello di sbagliare. Il permesso di fare un po’ schifo, pure. Il permesso di non essere sicura delle scelte che ho fatto. Il permesso di farle, quelle scelte lì. I’m allowed, mi dico, in questi giorni più che mai. You’re allowed, mi ripeto, seduta davanti allo specchio a tenermi compagnia.
I’m allowed è un tempo passato che però parla di presente. Una certezza. Una consacrazione. Un dono. Una promessa che ci siamo fattə, in un momento di amore e di grande bellezza, una promessa che ci ripete che possiamo, che ne abbiamo il diritto, che va bene così, proprio così. Solo che spesso ce ne dimentichiamo, perché la vita va veloce, e scorre, e si sa che da adultə finiamo tuttə dentro la boccia coi pesci rossi, nostro malgrado, ad affondare, a nuotare, a lavorare, a respirare sott’acqua, a imbrogliare, a scrivere trame, a ricamare storie.
Allora eccomi qui a ricordarvelo, a ricordarcelo: you’re allowed - we’re allowed.
Nelle giornate in cui anche uscire dal letto è complicato, you’re allowed. Quando mettete in discussione le vostre scelte di vita, quando sentite di non essere brave mamme, bravi papà, semplicemente brave persone, you’re allowed. Quando il vostro lavoro vi fa schifo, you’re allowed. Quando non volete vedere nessuno, e ve ne state dentro la boccia, a cercare tapparelle da abbassare e zone d’ombra in solitaria, you’re allowed. Quando vi sentite arrabbiatə, tristi, addoloratə, you’re allowed. Quando dite di no, a un lavoro, a una relazione, a un’occasione, you’re allowed. Vi siete datə il permesso, ne sono sicura, almeno una volta nella vita. Avete firmato questo grande patto d’amore tra voi, la vostra mente, e il vostro cuore.
E se non lo avete ancora fatto, forse è arrivato il momento.
Io non vedo l’ora di guarire, di farmi un tatuaggio, questo tatuaggio qui, questa linea sottile da indossare sulla pelle come un amuleto: I’m allowed.
Cose che ho letto, visto, sentito
Un altro reel che ho salvato su IG e che mi guardo spesso. Uno che prova a spiegare cos’è l’amore. È in spagnolo, ma si capisce bene e niente tirate fuori i fazzoletti. You’re welcome.
- pieno di cartelli e segnaletica stradale che fa un sacco di bene al cuore, e questo numero di che segue un po’ una scia simile, con tanta roba su Madrid!
Ho riletto “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino perché… Perché no? “Pamela, - sospirò il visconte, - nessun altro linguaggio abbiamo per parlarci se non questo. Ogni incontro di due esseri al mondo è uno sbranarsi.”
A presto, e fate ə monellə! ehi: vvb <3
Vorrei far leggere questo numero alla Alice di un anno fa, le servirebbe così tanto 💙
Ogni settimana scrivi la mia puntata preferita.