Il buco nero
Il vuoto in cui sono finita con la fine del mio "active treatment" per il cancro. Stelle che collassano e centri gravitazionali terrificanti, ma una sola realtà rimane: non c'è alternativa al futuro.
Assaporo la vita, la bevo a piccoli sorsi, come un tè al gelsomino con un po’ di miele. E la sera, quando il cancello del cimitero è chiuso e la chiave appesa alla porta del bagno, sono in paradiso. Non il paradiso dei miei vicini, no. Il paradiso dei vivi.
Scrivo questa puntata sperando sia già febbraio, ma il calendario non mente, è ancora gennaio, questo mese lungo e sottile, da sempre per me difficile da navigare, quest’anno molto più del solito. Provo a ricordarmi com’è stato gennaio 2024 ma ho come un buco nella testa. So che c’era lei, che è sbucata d’improvviso tra i corridoi del mio ospedale, so che abbiamo mangiato assieme, visto documentari discutibili in TV, parlato di libri. Siamo andate a passeggiare nel parco sotto casa, so anche questo. Abbiamo scattato qualche foto. Non mi ricordo però le sue braccia né le sue mani, non trovo impronta sul mio corpo dei suoi abbracci o dei suoi baci, forse la chemioterapia ha lavato via tutto.
Un anno dopo, ho finalmente finito le cure attive per il mio cancro, quello che in inglese si chiama active treatment, ovvero: “il periodo in cui una persona è sottoposta a intervento chirurgico, chemioterapia, radioterapia o altro trattamento per rallentare, arrestare o eliminare il cancro.” Abbiamo rallentato, prima, e arrestato, dopo. Così la finestra temporale del mio periodo di active treatment si chiude qui: non ho più visite mediche a breve termine, non ho più farmaci citotossici nel corpo, non vedo il mio oncologo da un mese (anche se lo rivedrò tra meno di due settimane, eh), non sento più l’odore di disinfettante e vaniglia che fanno le infermiere. Non ho più sciacquato e pulito Portia, anche se lei se ne sta lì, buona buona, ormai presenza assidua nel mio corpo robotico e smemorato.
Ho finito le cure attive (un termine che mi pare di aver coniato perché non lo trovo da nessuna parte su internet) e ora quasi non so che fare. Mi sento sospesa a mezz’aria, ve lo avevo già raccontato qualche puntata fa. Sospesa in una terra di nessuno, dove non si è guariti ma non si sta più così male, dove si intravede il futuro ma si fa fatica a lasciare andare il passato, e il presente è spesso fatto di vuoti che non sai come colmare. Ne parlo con la mia psiconcologa, sembra afferrare al volo e decide di fare un esercizio assieme - prende una sedia vuota, e mi chiede di immaginare che lì sia seduta la mia malattia, me la mette vicina vicina, quasi a sfiorarmi le ginocchia, mi chiede di osservare come sto, e poi tra una cosa e l’altra, a poco a poco, allontana la sedia, la spinge più in là, verso il retro della stanza. Sempre più distante da me. Mi chiede di nuovo di osservare come sto, che cosa provo, in pancia e nel petto. Io la risposta la trovo subito: mi sento persa, smarrita, indifesa. Sola. Abbandonata, quasi. È come se fossi stata dentro una rete, protetta e coccolata dentro un batuffolo di cotone, e ora che la sedia si sposta, allontanandosi da me, sento tutto crollare, ho freddo, tira vento, non so che pesci pigliare. Mi sento matta. Glielo dico, alla psiconcologa. Mi sento in colpa, pure, perché so che la malattia deve andar via, sta andando via, sono in remissione, devo lasciare spazio alla vita, al mio corpo che guarisce, alla mia salute. Non capisco cosa mi succede. Lei, però, lo sa. Lo sa e improvvisamente mi dice, come fosse la cosa più banale e chiara del mondo:
It’s the black hole of cancer.
Il buco nero del cancro.
La guardo pensando che si sia ammattita un po’ anche lei.
Il buco nero del cancro. Me lo ripete una seconda volta.
Io penso di aver capito, ma non ne siamo sicure, né io né lei, così mi mostra un video, che vi incollo qui - è in olandese ma ha i sottotitoli in inglese, e io vi metto la trascrizione in italiano sotto (traduzione mia):
È uno sport di prima classe. Dare tutto, sopravvivere, solo a questo riuscivo a pensare. Sei super concentrata quando fai le cure per il cancro. Stranamente, ti senti anche al sicuro, in una specie di supporto, girava tutto intorno a me e tuttə erano contentə di aiutarmi, ma quando le cure finiscono e tu ti aspetti che tutto si faccia più facile, ti accorgi che non è cosi, e finisci in questo vuoto. Improvvisamente devi occuparti di nuovo di tutto, a casa e a lavoro. Tuttə vanno avanti con la vita, e anche senza volerlo si aspettano lo stesso da me. Ma io non ero pronta per tutto questo. Ero distrutta, fisicamente e mentalmente. La fiducia nel mio corpo era sparita. Mettevo in dubbio me stessa, la mia carriera, il futuro. Ho capito che ero cambiata, ma le persone intorno a me lo capiranno allo stesso modo? E sono pronte a fare i conti con questo cambiamento? Voglio davvero andare avanti a tutta velocità di nuovo. Ma non posso farlo da sola. Chi mi aiuterà?
Torno a respirare e penso - cazzo, ha ragione. Non lo avevo messo a fuoco, prima, ma mi sento come se fossi caduta in un vuoto immenso. Mi manca l’ospedale, le dico tra una lacrima e l’altra, e rido perché mi sento impazzire. Sono dentro un collasso gravitazionale, un enorme accumulo di materia e vuoto allo stesso tempo, tutto in potenzialità, niente in pratica. Tutto il mio spaziotempo concentrato in un punto, un punto soltanto. È buio e non so come accendere la luce. Non scruto l’orizzonte, non vedo più niente, solo il vuoto e io che cado e cado e cado. Chi mi aiuterà?

Sposta di nuovo la sedia, me la mette vicina, ma non così vicina, non mi sfiora più le gambe e devo allungare le braccia per toccarla, se volessi toccarla. Me la mette vicina e io sento i battiti del cuore rallentare. Va tutto bene. Come si forma un buco nero? Le chiedo e mi chiedo. Perché non può uscire niente da un buco nero? nemmeno la luce. Perché intrappola tutto? Sono tutte domande sensate, ma lei è pur sempre una psicologa, e queste cose non le sa. Mi toccherà studiare, le dico. E ora sorrido, mentre mi soffio il naso, perché ho dato un nome a questa sensazione qui, perché so che è legittima, che ha diritto di esistere.
Dentro questo spazio che tutto attira e tutto respinge, dentro questi confini dell’osservabile e dell’inesplorato, trovo tra le mani, d’improvviso, un nuovo set di costruzioni, tanti mattoncini di forme e colori diversi. Sento che devo mettermi all’opera per vedere come si incastrano, che ne verrà fuori. Chiedo alla psiconcologa come farò a procedere senza istruzioni, perché questo benedetto manuale di sopravvivenza io lo cerco da settimane, ma non lo trovo da nessuna parte. Lei mi dice che non lo sa, purtroppo, ma che ha notato che i suoi bimbi si divertono di più, quando non sanno cosa stanno costruendo. Penso che stia mentendo per farmi star meglio.
Alla fine decido di crederle, perché non c’è alternativa al futuro.
Anche quando è fatto di buchi neri e stelle che collassano.
Cose che ho letto, visto, sentito
- è importantissimo perché dare consigli su cosa si dovrebbe mangiare, bere, fare, quando si ha il cancro, non sempre è cosa gradita (quasi mai, ve lo dico).
Da un po’ non condivido la newsletter di
quindi eccola qua: l’ultimo numero è pieno di cose importanti e carine, tra cui il nostro feed su Bluesky!Sto leggendo questo numero di Jacobin Italia, tutto dedicato all’Intelligenza Artificiale. Io sono sempre un po’ indietro con le riviste, ma mi piace così :)
Fate ə monellə, se potete <3
Cara Paola, ci siamo conosciute online per caso. Ringrazio il caso. Un abbraccio forte
questo tuo racconto, come sempre avvolgente, mi ha fatto ricordare quel che ho letto su Goliarda Sapienza e la sua esperienza in carcere. e il fatto che spesso le persone dal carcere non vogliono uscire, abbandonare quel grembo materno per tornare alla vita. può sembrare assurdo, sapersi pensare solo in galera. eppure, le galere fanno questo effetto. o forse è il mondo fuori ad essere sempre meno accogliente.