Dare un senso alle cose
Vivere qui e ora. Svolgimento. Ovvero un collage di parole preziose che attraversano le mappe delle nostre vite.
Restami dentro amore
E nell'acqua che è già su
Lottiamo
Non sulla cresta dell’onda
Ma dove cresce il mare
Ho finalmente finito di (ri)guardare “Derry Girls”. Nell’ultima puntata vanno tuttə a votare al referendum per l’accordo del venerdì santo. L’Irlanda del Nord è stanca, ha bisogno di pace, di nuova vita, di speranza. James filma il gran giorno con la sua telecamera, e chiede a Erin come si sente ad avere finalmente 18 anni. La sua risposta è per intero qui, ma l’ultima frase ho scelto di appuntarmela e di rileggerla ogni tanto:
So we have to be brave. And if our dreams get broken along the way... we have to make new ones from the pieces.
Quindi dobbiamo essere coraggiosə. E se i nostri sogni si infrangono lungo il cammino... dobbiamo crearne di nuovi con i pezzetti (che raccogliamo).
Qui e ora
Tempo fa, prima di far nascere questo spazio, avevo chiesto alla mia amica della scrittura di assegnarmi un tema, un esercizio di parole:
Il qui e ora. A gennaio non avevo ancora deciso come avrei scritto o di cosa avrei scritto, ma questo tema era decisamente pruriginoso e non sapevo proprio come approcciare lo svolgimento. Quindi ho lasciato perdere.
Ora, se l’idea che vi state facendo è che adesso invece ho capito tutto, e so esattamente che significa qui e ora, che so come mi fa stare, che riesco a scegliere con cura le parole con cui parlarne, vi sbagliate di grosso.
La verità è che in questi giorni vorrei solo tenermi la testa tra le mani e piangere. Rassegnarmi a questa stupida mano di carte che la vita mi ha rifilato. Non sono più nemmeno arrabbiata. Sono solo triste. Triste mentre provo a combattere la tristezza.
Mi sento su una di quelle ruote panoramiche che si trovano alle fiere - no, una di quelle permanenti, eccezionali: il London Eye coi suoi 135 metri di altezza. Altro giro, altra corsa. In attesa dell’ultima. Seduta in una cabina, sempre la stessa, forse la numero dieci, la tettoia a proteggermi dalla pioggia incessante che sta allagando le Fiandre e i nostri cuori impazziti. La ruota sale e sento come un vuoto allo stomaco, è quasi sempre buio, là fuori, e per lunghi attimi dimentico che è tutto progettato in modo da non far rovesciare la cabina, dimentico di essere al sicuro. Arrivo in cima, il cuore palpita, e tutto si fa piccino e lontano. Laggiù c’è il mondo, la vita che scorre, le comuni attrazioni di una qualunque fiera: lo zucchero filato, la pesca per le papere. Ho il tempo di assaporare l’aria fresca, di chiudere gli occhi per mettere a fuoco un raggio di luce, uno soltanto, e poi la ruota inizia la sua discesa verso terra. Mi reggo forte al manubrio, mi abituo al cambio di prospettiva, faccio fatica, è nuovamente tutto più grande, più vero, più vicino. Metto a fuoco, forse mi fermerò un attimo per lasciar salire qualcuno, ma mi rendo presto conto che non mi è possibile: ricomincio a salire.
Altro giro, altra corsa. In attesa dell’ultima.
L’algoritmo qualche giorno fa mi ha regalato questa frase:
Dicono, quelli che ci sono passati, che anche in guerra, anche sotto i bombardamenti, anche nella malattia più severa, nella penuria più dura, ci sono momenti nei quali la vita risplende.
La scriveva Michele Serra sulla sua newsletter OK Boomer! su Il Post.
Momenti nei quali la vita risplende. Io ci credo tantissimo.
L’amica di cui sopra qualche giorno fa mi ha detto:
c'è un qualcosa che ci rende noi, e non inseguirlo, non viverlo appieno, quella è vita sprecata
Così mi sono messa a riflettere su quel “qualcosa”.
Qualche giorno fa un’altra amica, chiamiamola l’amica della morte (sì, ho amiche divise in categorie tipo diagramma di Venn con una grande fetta in comune colorata d’amore e di fucsia) mi ha detto che io provo a dare un senso alle cose. Anche quando un senso sembra che non ci sia. Un senso per me, e per chi sta là fuori.
Mi conosce da poco, ma credo ci abbia preso in pieno: dare un senso alle cose è una delle faccende che mi riesce meglio, o - voglio essere più precisa - una delle cose che navigo meglio. Anche quando diventa tutto tremendamente complicato e sembra che un senso non ci sia. Srotolare un gomitolo. Risolvere uno scarabocchio. Sono io. (Sono anche campionessa mondiale di disegni di scarabocchi, eh, ma questa è un’altra storia).
Allora forse più che interrogarmi sul vivere qui e ora vorrei interrogarmi sul vivere ciò che sono. Spostare la domanda, se possibile. E spero che la mia maestra di scrittura non mi bocci, ecco.
Siamo terre
Ma abbiamo bisogno di mappe.
Prima della malattia pensavo di conoscere tutto di Paola (OK, quasi tutto). Di sapere esattamente cosa fosse quel “qualcosa” di cui sopra, quello per cui vale la pena vivere e vivere bene, vivere appieno.
Poi ho iniziato a dubitare, pensando che la malattia mi avesse cambiato, che in alcune giornate davvero non mi riconosco quasi più. E non solo fisicamente, no. Ma mi sono resa conto che sono sempre io, e che a essere cambiata è la rappresentazione della mia terra, del mio mondo. La mappa si è aggiornata, aggiungendo vicoli che non sapevo esistessero, divieti di sosta qua e là, ponti su correnti d’acqua che non avevo mai visto prima. Alcune strade chiuse al traffico, altre in ricostruzione, grossi segnali “lavori in corso” agli incroci tra la vita e tutto quello che ne resta fuori. Collinette lasciano posto a pianure. Linee tratteggiate per riconoscere confini lì dove un tempo spiccavano orizzonti e spazi aperti.
È una mappa nuova, ma la geografia è la stessa, sono sempre io.
Nel terrazzo, ho le fragole. Rosse, veraci, sincere. Al mattino la mia casa è piena di luce. La sera lascio di proposito le serrande alzate perché mi piace aprire gli occhi e provare quel senso di invasione, quasi a non poter sostenere il bagliore. Quando la pupilla deve rimodulare la propria forma per proteggersi. Vorrei spesso che fosse così anche il mio animo.
Alla sera le mie mani si alzano al cielo, mentre mi metto il pigiama, e si fermano a mezz'aria, nel buffo ma sincero tentativo di abbracciarmi. Un abbraccio fatto di polsi sottili e di ossa fragili. Un abbraccio salato, che culmina spesso in un sollievo di lacrime.
Capita poi che mi sveglio, la notte, col cuore gonfio come fatto di botte1.
Sbriglio scarabocchi. Listo domande. Costruisco lenti di ingrandimento che aprono finestre su mondi e dettagli nascosti. Labirinti di luce e ombra. Accolgo tutto nel club dei desideri naufragati.
Anche questa newsletter, in un certo modo, è un tentativo di orientarmi nuovamente in questa geografia consueta. Un modo per dare un senso alle cose.
Cuore tu vieni, dove io vado. Anche sulla ruota panoramica. Anche sulle montagne russe, se dovessi.
Ne soffro, a tratti, ma non mi lascio.
Sarà sempre meglio stare con me.
Restami dentro, amore2. Lottiamo.
Cuore tu vieni, dove io vado.
Cose che ho letto, visto, sentito
La mia amica delle ribellioni mi ha mandato questa newsletter. Avrei potuto scriverla io. “Beauty is like that, too. Some things, some people are too beautiful—too bright—to be taken in all at once.3”
Questo numero di Cancer Culture mi ha smosso dentro tante verità. “[…] it seems to me that cancer is 99% the mundane process of slogging through, hoping to put, as one reader eloquently commented on my last post, “the biggest down payment on survivorship” that one possibly can.4”
Ho visto “Can You Ever Forgive Me?”, la storia di Lee Israel, autrice e falsaria americana. Melissa McCarthy bravissima come sempre.
A presto! Mi raccomando, fate ə monellə!
Anche la bellezza è così. Alcune cose, alcune persone sono troppo belle, troppo luminose per essere colte tutte insieme.
[…] mi sembra che il cancro sia al 99% il banale processo di arrancare, sperando di versare, come ha commentato eloquentemente un lettore sul mio ultimo post, "il più grande acconto sulla sopravvivenza" che si riesca a versare.
La mappa mi ha fatto scendere una lacrimuccia. Mi sento esattamente così 🤍
Grazie di aver parlato delle tue geografie emotive. E di cercare di dare un senso alle cose.