La mia famiglia scelta
Il mio port-a-cath sotto la pelle, un po' di dolore specchio, la famiglia che ho scelto per me, e una scatola di caramelle.
Family is what we want it to be.
La famiglia è ciò che vogliamo che sia.
Quando il 6 novembre 2023 sono andata in ospedale, il mio percorso di terapia per guarire dal cancro era già iniziato: il giorno dopo avrei cominciato con il primo ciclo di chemioterapia. Avevo fatto esami su esami, per escludere la presenza di metastasi, e capire il profilo genetico del mio tumore. Il piano di chemioterapia era chiaro, il protocollo ben definito. La primissima cosa da fare era inserire un port-a-cath dentro il mio corpo: un accesso venoso impiantabile attraverso il quale estrarre il mio sangue e inserire farmaci citotossici, uno dopo l’altro, direttamente dentro una vena bella grossa, nel mio caso la succlavia. Poi lo avrei usato anche per ricevere sangue, ma questo non lo sapevo ancora.
È stato il primo intervento fisico che ha modificato il mio corpo da quando avevo scoperto di avere un tumore: lo sentivo, il tumore dico, sotto le mie dita, sotto la doccia, quando mi vestivo, d’improvviso nel mezzo di una qualunque attività. Ma il mio corpo non era ancora stato inciso. Sarebbe cambiato, lo sapevo, ma inserire un port è stato un po’ la prova del nove: non è un sogno, non andrà via da solo, ci vorrà un po’ di lavoro, un pizzico di fortuna, una o due manovre, su questo corpo monello ma forte. In un episodio dal titolo “Scatti ribelli” ho pubblicato una foto del mio port, la trovate qui.
Il port viene inserito in day hospital, con un piccolo intervento chirurgico in anestesia locale. Avevo una paura pazzesca, il 6 novembre 2023, ma io sono sempre stata una fifona in ospedale. Ho sempre pensato di soffrire di una cosa conosciuta in inglese come mirror pain - un dolore specchio? non lo so, non ho mai approfondito, ma vi posso dire benissimo che cosa provo. Io arrivo in ospedale, vedo una persona che si è fratturata una gamba, la destra, ad esempio, e io improvvisamente non riesco a muoverla, la mia, di gamba destra. Sento dolore al petto se è il petto che è fasciato, mi scoppia la testa, se è la testa che mostra una ferita. In ospedale soffro, devo chiudere gli occhi di continuo, distogliere lo sguardo. Anche per questo non riesco a guardare serie televisive mediche, per me è una tortura. Una risposta empatica ridicola forse legata a una maggiore attività dei miei neuroni specchio, o forse è solo che sono sempre stata una fifona e il mio corpo ha deciso di trovare una scusa così, per dirsi che va bene lo stesso. Chi lo sa. Il port viene inserito in day hospital, dicevo, e io avevo una gran paura. Mio marito, che non mi aveva lasciata un attimo da sola dal giorno della diagnosi, non poteva proprio venire in ospedale, quel giorno lì, cosi è venuto un amico. Quando all’accettazione, in chirurgia, hanno chiesto un contatto di emergenza, ho dato il suo numero di telefono. Ho anche detto che sarebbe stato lui a portarmi a casa, dopo l’anestesia e tutto (se non muoio sotto i ferri - ho pensato). L’infermiera mi ha chiesto se questa persona fosse mio marito, il mio compagno. Mi sono limitata a dire di no. Poi ha aggiunto qualcosa tipo - is he just a friend? Non lo so di preciso perché le importasse il nostro grado di parentela. Io in preda alle mie visioni da bisturi, sangue e ferite non ho riflettuto molto e le ho risposto - yes, sure, just a friend. È solo un amico, le avevo detto.
Solo un amico?
Che cacchio significa, ho pensato dopo, quando mi sono seduta sui divanetti arancioni aspettando che chiamassero il mio nome. Che cacchio significa, solo un amico? Questa persona è qui, con me, in questo momento, perché ha scelto di vivere questo momento, con me. È parte della mia vita, è la mia famiglia - questo avrei dovuto dirle. No, non è solo un amico, è la mia famiglia. È qui perché ho paura, perché abbiamo paura, tuttə e due (ma io forse un po’ di più), perché poi dopo mi porta a casa, mi prepara il pranzo, o mi compra un panino, non so ancora, mi solleva da terra dovessi svenire - basta, il mio cervello è andato. Non ho modo di tornare indietro e correggere i miei pensieri, no, le mie parole, perché mi chiamano dal fondo del corridoio, è arrivato il mio turno, e tra poco dovrò spogliarmi, mettermi uno di quei ridicoli camici per gli interventi, quelli che ti lasciano sempre un po’ il sedere scoperto. Dopo un’ora sono sul lettino in sala operatoria, non sento niente se non delle viti che ruotano sotto la mia clavicola sinistra, piango un po’, e penso - voglio la mamma, e voglio delle patatine fritte. L’ultimo desiderio lo esprimo a voce alta, l’infermiera sorride.
Quel 6 novembre 2023 non sono morta - la mattina dopo sono svenuta, ma questa è un’altra storia. Il port è ancora sotto la mia pelle, anche se al momento non ricevo farmaci in endovena. Lo lasciamo ancora un po’ lì, non c’è fretta - dice sempre l’oncologo - e io ogni volta penso che i miei tempi e i suoi sono proprio due robe diverse.
Famiglia e caramelle
È passato quasi un anno da quel giorno, un anno in cui ho avuto la grande fortuna di non dover vivere la malattia da sola. Inondato da tantissimo amore, è stato un anno in cui ho capito davvero, forse per la prima volta, che cosa è la famiglia per me. È indubbiamente mio marito, la persona con la quale ho scelto di condividere tutto (OK, quasi tutto, su questo un giorno torneremo). È indubbiamente mia mamma e mio papà che vengono dalla Sicilia; è senza dubbio mia mamma, in particolare, che rimane qui per mesi e mesi per prendersi cura di me. Ma è molto altro. La mia famiglia sono le persone che amo, in ogni forma, colore, dimensione, le persone che scelgo, e sono loro che scelgono me.
Mi sono sempre rifiutata di pensare che l’amore romantico valesse più di ogni altro legame, che il mio compagno dovesse venire sempre prima di tutto, che la mia relazione - di qualunque forma - avesse sempre comunque la precedenza, un posto sul podio, prima in classifica. È un pensiero che ho maturato crescendo, e che ha preso forma quando mi sono avvicinata al femminismo, e al concetto di famiglia scelta. Una famiglia scelta è un gruppo di persone che si considerano parte della propria famiglia, che si scelgono a vicenda, ma non sono necessariamente legate da vincoli biologici o legali. Una famiglia formata attraverso legami di affetto, di fiducia, di sostegno reciproco. È un concetto che nasce e prende forma soprattutto nelle comunità LGBTQIA+, dove alcune persone, per via di esperienze di rifiuto o mancanza di accettazione da parte della propria famiglia biologica, costruiscono una rete di persone con cui stabiliscono legami profondi. Ma in realtà può essere esteso a chiunque decida di scegliere la propria famiglia, di eleggerla (una parola che mi piace tanto).
La mia famiglia scelta è chiedersi il sabato mattina - devi fare la spesa? ti porto io? la faccio io per te? La mia famiglia scelta è non doversi domandare chi invitare al mio compleanno, perché lo so già chi ci sarà. La mia famiglia scelta sono i volti che trovo seduti a tavola, nella mia cucina, il giorno in cui mi hanno detto che avevo un cancro. La mia famiglia scelta è lui che mi dice - se vi servono soldi, dimmelo subito. È lei che mi dice - te li taglio io, i capelli, non sono bravissima, ma ci proviamo. E mi infila dentro la doccia, mi fa sedere su una sedia, mi tiene per mano, tra un colpo di forbice e l’altro, mentre piango, il braccio ancora dolorante, il port sotto la pelle. La mia famiglia scelta è anche a centinaia di chilometri di distanza, che vorrei tanto andare a prenderli io, i bambini, se potessi. E portarli a nuoto, a prendere il gelato. La mia famiglia scelta è fatta di telefonate, messaggi di buongiorno e buonanotte bubi, di messaggi vocali in preda al panico, o alla gioia. È fatta di intenzioni.
Al diavolo il sangue, al diavolo le legalità1.
Al diavolo dire che bisogna avere unə compagnə in una relazione romantica per non sentirsi solə. Certo, è bello, se lo si desidera, può essere molto bello. Ma non è necessario, e non è sufficiente. Per me non lo è mai stato, solo che prima non lo sapevo. Quando all’infermiera ho risposto - sì, è solo un amico - lo sapevo dall’inizio, che stavo sbagliando. Non voglio mai più parlare così delle persone della mia vita, non voglio mai più rivolgermi ai miei amici, amiche, amicə, usando quella parolina lì: solo.
No, è solo un amico, e non è il mio tipo.
No, è solo un amico, non è il mio ragazzo.
E quella che odio più di tutte: è solo un amico, non essere geloso.
Come se consegnare pezzi del proprio cuore a qualcunə passasse necessariamente per un rapporto intimo di natura sessuale. Mi viene da ridere. E queste cose vorrei dirle alla Paola ventenne che scopre l’amore, e poi a quella trentenne che non sa più che cos’è, questo amore. Fortuna che invece la Paola quarantenne si è fatta qualche idea, al riguardo. Credo sia un po’ come cantano i Tre allegri ragazzi morti (sono stata a un concerto e ora sono in fissa, send help):
La verità, vi prego, sull'amore
Che a un passo dalla mia mano sta
In una scatola di caramelle
È per te, se vuoi, puoi prenderla
Oppure è qualcosa di più grande
Profumato e incomprensibile
Come quando ti abbandoni e ti addormenti
E sei dеntro un'altra realtà
Credo sia più di una scatola di caramelle. È dolce, è tenero, ma è soprattutto intenzionale, un fuoco a pelo d’acqua, la sola concreta realtà. Non ci sta tutto, in una scatola di caramelle, ma può prenderne la forma, quando serve.
Credo sia così, il mio cuore, più roba ci metto dentro, più lui si espande, si allarga, fa spazio. Anche con un catetere intorno, a due passi dalle cicatrici.
Cose che ho letto, visto, sentito
Sto leggendo The Pairing di Casey McQuiston, mi sta piacendo tanto!
Siete annoiatə? Cliccate il bottone rosso: esplorate internet navigando tra siti e giochi divertenti, video spiritosi, arte e un sacco di altra roba. Vi avviso, crea dipendenza!
Questo reel del New York Times con Andrew Garfield che legge “Learning to Measure Time in Love and Loss” di Chris Huntington. “This is why art is so important, because it can get us to places that we can’t get to any other way.2”
Fate ə monellə, a presto!
So di stare semplificando tantissimo, e vorrei scrivere una puntata a parte, per parlare di questioni legali e burocratiche legate alla propria famiglia.
Per questo l'arte è così importante, perché può portarci in luoghi che non possiamo raggiungere in nessun altro modo.
Questa cosa del cuore che si allarga e fa spazio e nel farlo non toglie amore ma lo propaga - quante mille volte è meglio della storia unica che prevedeva invece paletti e capanne per due? Ciao mi linda 🌈
Sto piangendo, stavolta sì, perché mi hai di nuovo preso le parole di bocca e “di dita”, che anch'io sono così, anch'io le persone le scelgo e mi addolora quando non succede altrettanto, e che palle la gerarchia degli affetti, e che buone le caramelle. 💜