Puledra ed erba
500 giorni in apnea. Ora che sono tornata sull'isola, il vento tiepido del sud mi riempie nuovamente i polmoni. Puledra ed erba. Radice piantata in un lembo di terra sospeso.
Ci si sente alla fine del mondo in Sicilia.
515 i giorni passati lontano dall’isola.
500 i giorni passati senza respirare.
500 giorni in apnea.
Sono scesa dall’aereo con la mia giacca in mano, mi sono fermata sui gradini, in mezzo alla pista d’atterraggio, e ho sentito il vento scompigliarmi i capelli - qui l’aria è proprio un’altra cosa, ho pensato. Il vento tira forte in questo spazio di arrivi e partenze, ma non è freddo come quello che soffia in nord Europa. È inverno, lo è anche sull’isola, ma c’è una nota di tepore nell’aria, una che riconosco immediatamente, una nota dolce, zuccherina. Mi invade subito la mia lingua, quella siciliana, la sento picchiare dentro le orecchie, è proprio buffa mista al francese della Vallonia, parla con cantilene, proverbi, tutto mi sa di credenze e superstizioni.
Turnasti! Finalmenti turnasti!
mi sussurra una voce immaginaria.
Turnai.
Il vento mi sblocca il respiro e inizio a sentire l’aria nel naso, la sento scendere nel petto, invadere i polmoni. Tornare in Sicilia è cosa grande, lo è tutte le volte e forse lo è ancora di più adesso, dopo questi cinquecento giorni, perché mi sembra un sogno a occhi aperti. Un sogno che quasi non mi sono permessa di fare prima d’ora, un sogno che non mi spettava, un sogno che non era roba mia.
Sono io, a costruire patiboli ed emettere sentenze. Sono soprattutto io, lo so.
Invece ce l’ho fatta, sono tornata, sono arrivata. In questa terra di fuoco e pietre antiche, di gelsomini e arance. La luce mi invade e il maglione che indosso è decisamente troppo pesante. Sono sulla strada che collega l’aeroporto al sud dell’isola, la riconosco eppure mi pare completamente diversa. È tutto verde e rigoglioso, a tratti poi giallo e secco. Persino nella vegetazione, questa terra è piena di contraddizioni.
Mi sento un piccolo cucciolo di animale, non so di preciso che animale, ma uno appena venuto al mondo, uno che prova a camminare sulle proprie zampe e non sa come si fa e un po’ barcolla. Sono una puledra, ecco, una puledra piccola e nera. La strada davanti a me si allarga e si restringe. Curva dopo curva mi inoltro nel sud, nel posto che mi spetta, nel posto che mi aspetta. D’improvviso il blu del cielo si mischia a una tonalità più scura, è il blu del mare. Lo vedo spuntare all’orizzonte, una striscia d’acqua costante, immutabile, perenne. Per la prima volta mi pare non segni confini, né nello spazio né nel tempo. Nulla da cui fuggire, nulla a cui tornare.
È abbraccio, mistero e memoria. È specchio di luce, respiro della terra madre. Questa terra fatta di campi di grano e uliveti, di balconi barocchi e il sole che ci picchia dentro come un tamburo.
Sono puledra ed erba, figlia del vento e dell’acqua, conchiglia levigata dal tempo e dagli elementi.
Radice piantata in un lembo di terra sospeso.
Cose che ho letto, visto, sentito
Ho visto la prima stagione di “Storia della mia famiglia” su Netflix. Mi è piaciuto, ma avrei da ridire su un paio di scelte di narrazione.
La mia amica Paola mi ha regalato “Cronaca di donne, da Pandora al pandoro” di Clara Artale. Ho già iniziato a leggerlo, molto probabilmente ve ne parlerò.
Sto anche leggendo “Il male che non c'è” di Giulia Caminito.µ
Oggi la puntata è particolarmente breve perché mi devo dedicare ai fiori, alle onde, ai cannoli, alla ricotta. A presto, monellə!
Bentornata a casa! Goditi queste giornate che saranno di sicura ispirazione per altri tuoi bellissimi racconti. Abbraccio.
Anch'io ho vissuto per qualche tempo lontano da qui....e ogni volta che tornavo mi sembrava di non essermene mai andata.
A te bentornata! ♥️