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Francesca's avatar

Quando sono uscita dalla depressione post parto mi sentivo un'altra persona, completamente diversa. Un po' come la donna che descrivi alla fine, ne avevo abbastanza del marketing e volevo aiutare le persone. Non mi sono fermata a considerare che nel giro di un anno avevo: avuto un aborto spontaneo, ero rimasta incinta, avevo partorito un essere umano nuovo di cui prendermi cura totalmente ed ero praticamente da sola a farlo, ho avuto una depressione post parto, è arrivato il covid, mi sono trasferita a Budapest lasciando Parigi. Insomma nella mia vita era scoppiata una bomba, mentre io prendevo decisioni cruciali sulla mia carriera lavorativa in giro c'erano solo polvere e macerie e io pensavo di vederci, di vedermi, perfettamente in mezzo a tutto quel caos.

Solo dopo quattro anni di altro caos mi sono data il permesso, stremata, di stare ferma. Di lasciar posare la polvere, e solo dopo di provare a passare la scopa (neanche l'aspirapolvere, la scopa, per fare più fatica). In un anno e più di stasi, ho tenuto le cose fondamentali senza cercare di darmi un nome né di capire in che modo ero cambiata perché poi queste cose quando stai ferma vengono a galla da sole (e certo, vado in terapia). Questo per dire che non posso neanche immaginare cosa significa scampare a una possibile sentenza di morte, e che magari il senso del tuo lavoro tornerà piano piano (o magari no) ma che il tempo noioso, uguale a se stesso e forse senza senso è una risorsa preziosa, che anche da solo e con estrema lentezza può essere capace di restituirti a chi eri mentre diventi una persona nuova. Un abbraccio!

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vicky iovinella's avatar

Userò anche io una immagine trita e ritrita ma credo che sia un'occasione. Ogni nostro cambiamento è un occasione per un necessario repulisti dell'orizzonte umano che ci circonda. Ci saranno persone che vorranno vederti per com'eri perché magari non ti hanno vista mai e persone che cercheranno di capire, con grazia e con il tempo, cosa di te è cambiato. E questa è un'occasione. Perché potremmo dare un nome ai primi, e un nome proprio ai secondi.

Ma, in generale, credo sia sano cercare di smettere di caricare di senso il lavoro. Non mi sembra casuale che chi lo faccia, spesso sceglie professioni che aiutano il prossimo. Perché se lo cerchi, quello sembra l'unico lavoro con un intrinseco e innegabile purpose. Ma, e lo rubo da una newsletter letta qualche giorno fa (“Brand love” won’t save your soul) inizio a credere che il nostro primo compito sia fare bene il nostro lavoro, quando lo facciamo. Cercando in ogni modo di non farlo iniziare prima (io lo sogno la notte, btw) e di non portarcelo a casa. È questo il suo purpose, restare un lavoro, garantendoci il tempo e il modo di restare umani. Dentro al lavoro, se siamo fortunati. Ma fuori, soprattutto fuori.

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